L’ultimo giorno di Art City Cinema ha visto la Cineteca di Bologna inaugurare una nuova rassegna dal titolo “La videoarte in America”, realizzata in collaborazione con Galleria de’ Foscherari. Il primo appuntamento ha avuto come protagonista uno dei più importanti esponenti della videoarte del nostro tempo: Bill Viola. Presentato attraverso la lente del regista Jean-Paul Fargier, il documentario Bill Viola, Expérience de l’Infini cerca di analizzare la ricerca artistica di questo straordinario pioniere del settore.

Il documentario alterna le interviste del regista a Viola, in cui questi si racconta, e i contributi di sette critici che ne analizzano la ricerca formale e contribuiscono a ricostruirne il complesso profilo artistico. A fare da sfondo sono le sue opere, in cui emergono i temi più significativi della sua arte come la vita, la morte, il tempo, lo spazio e il silenzio. É stata la presentazione di Vittorio Boarini a introdurre direttamente gli spettatori nel mondo della videoarte, linguaggio complesso ed estremamente giovane se si pensa che si può cominciare a parlarne autonomamente solo a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Nel momento in cui il video, attraverso la ricerca formale degli artisti, prende consapevolezza di sé come strumento di indagine, da mero mezzo di documentazione diventa opera. Da qui in maniera più consapevole i vari artisti cominciarono a lavorare sull’immagine elettronica.

La videoarte ha rappresentato e rappresenta la possibilità di raggiungere obiettivi formali e sperimentazioni tecniche che con il cinema (e soprattutto con la pellicola) non è possibile affrontare. È proprio il nuovo mezzo tecnologico, il video, a offrire nuove possibilità e a proseguire quel tipo di ricerca che il cinema aveva abbozzato con le avanguardie. Si pensi all’underground americano, alle sperimentazioni di Marcel Duchamp e Andy Warhol, ma anche alle opere di Jean-Luc Godard che rappresentano la forma più radicale di sperimentazione filmica. Tuttavia è con la videoarte che si possono sviscerare i processi formali e le tecniche di ripresa portando il racconto per immagini in una dimensione altra, oltre il cinema per come lo conosciamo. Ciò che si vede nella pratica del video è l’interesse per le componenti basilari dell’immagine, il ritorno al grado zero del linguaggio cinematografico e la riflessione sulla pellicola come supporto.

È da questi presupposti che si osserva e si può comprendere la personalità artistica di Viola, che usa il nuovo strumento non solo per proseguire una sperimentazione più prettamente tecnologica ma anche per ritornare a quella dimensione “romantica” che è la pratica artistica e cioè la ricerca dell’infinito e del trascendentale. Attraverso l’arte si può tendere all’eterno e si può tentare di riflettere sulla vita e sul mistero ad essa connesso. La vita e la morte si compenetrano nelle opere di Viola, non costituiscono un inizio e una fine ma un cerchio che tende all’infinito. E l’acqua, che ritorna incessantemente, è l’elemento fondamentale che genera e toglie la vita.

The Reflecting Pool – Collected Work, proiettato a seguito del documentario, è una raccolta di cinque lavori indipendenti di Viola considerati l’uno la prosecuzione dell’altro, in cui sono evidenti le tappe delle sue prime sperimentazioni, nelle quali vengono esplorate varie tecniche in cui l’immagine elettronica si combina con il suono.

Vedere le opere di Viola sul grande schermo costituisce un’esperienza sensoriale straniante che disorienta e fa riflettere. Sebbene non siano nate per un simile supporto, con esso trovano una nuova veste che colpisce direttamente nell’inconscio di chi osserva.

Valentina Ceccarani