Un “atto mancato”, in psicologia, è un’azione dettata da una volontà non cosciente: l’inconscio. Questo talvolta prende il sopravvento dentro di noi, a nostra insaputa, e ci spinge a compiere azioni che, razionalmente, non vorremmo compiere. In questo film, con l’espressione “atto mancato” si descrive una donna che non ha mai tolto il seno dal corsetto per darlo al proprio figlio. Ed è con una scultura rappresentante un seno bianco rinchiuso in una gabbia che prende forma il nome di Lunàdigas.
Originariamente questa parola sarda era usata dai pastori per indicare le pecore che non si riproducevano. Ora Nicoletta Nesler e Marilisa Piga l’hanno fatta propria e riutilizzata per dare un nome a quelle donne che finora si erano potute definire solamente tramite una negazione: “non madre”. Lunàdigas, da oggi, è anche il nome delle donne che decidono di non avere figli. E avere un nome significa esistere.
È un succedersi di interviste di piccole e grandi donne, comuni o famose (Veronica Pivetti, Margherita Hack) che spiegano cosa significa per loro la maternità, l’avere un figlio. E cosa soprattutto significa non averlo. Il film sembra nascere per far conoscere il progetto delle due registe: restituire alle donne il diritto di scegliere cosa diventare; sfatare l’obbligo sociale di avere un figlio. Un film che dimostra quanto in realtà le lunàdigas non siano una minoranza così ristretta. Infatti è un documentario di sessantanove minuti che, pur di dar voce a tutte, sacrifica il proprio dinamismo. Tra una testimonianza e l’altra ci sono quelli che vorrebbero essere degli attimi di “respiro”: atti teatrali dove si citano poesie. Si raccontano fiabe. Si ricordano donne del passato, come Coco Chanel o Giovanna D’Arco. O ancora si vedono le due registe incarnare delle bambole di cartone e parlare a noi spettatori tramite un susseguirsi di parole, che talvolta appare insensato.
In questo documentario troviamo donne che non possono avere figli e ci convivono felicemente. Donne che figli ne volevano, ma poi hanno cambiato idea. Donne che figli non ne hanno mai voluto. C’è chi sembra riversare il proprio amore su di un cane, o un gatto. E ancora chi racconta della propria famiglia e, per questo, decide di non essere madre a sua volta.
Non tutti, in special modo non tutte, saranno d’accordo con espressioni forti come “i figli sono simbolo di schiavitù”. Ma questo non è un documentario che vuole convincere. Piuttosto, vuole dimostrare come la “femminilità” non sia data solo dalla “maternità”. Essere donna vuol dire avere un corpo, ed esserne padrona. Vuol dire avere una borsetta piena di “cianfrusaglie”. Vuol dire aver giocato, da piccole, con le bambole di cartone. Ed essere lunàdigas vuol dire non essere né signora né signorina.
Paola Pitzus