Se le notizie relative alle imponenti ondate di profughi occupano ormai un posto fisso nei telegiornali nel nostro paese, il cinema italiano contemporaneo non ha potuto non confrontarsi con il tema della migrazione nei modi e nelle forme più disparate, da Alì ha gli occhi azzurri fino a Fuocoammare. Per un figlio, presentato in anteprima a Visioni Italiane, rientra a tutti gli effetti in questo sottogenere sempre più frequentato, sia per le vicende produttive in cui ha visto la luce che per i temi affrontati.

Lungometraggio d’esordio del cingalese Suranga Deshapryia Katugampala, il film è stato prodotto con il significativo contributo del Premio Mutti, che dal 2008 seleziona annualmente progetti di giovani registi provenienti dal Sud del mondo, e poi distribuito da Gina Films, che ha recentemente portato nelle sale italiane Io sto con la sposa (Augugliaro, 2014). Se questi film hanno spesso deciso di raccontare gli esodi e le loro tragedie, Per un figlio adotta un punto di vista più intimista e deliberatamente periferico, e mette in scena il travagliato rapporto tra una badante cingalese e suo figlio in una cittadina del Veneto.

Essenziale, misurato, parlato pochissimo, il film porta sullo schermo conflitti culturali e generazionali con realismo e sobrietà: il racconto lineare e cadenzato, sostenuto da una grammatica filmica piana, è volto a rendere conto di una quotidianità sondata nei particolari più minuti. La macchina da presa pedina i personaggi in ambienti angusti, li segue nei loro percorsi tortuosi ed è efficace nel costruire ambienti visivi e sonori.

Pur all’insegna della misura e della sobrietà, l’esattezza dell’analisi del contesto socio-culturale non impedisce poi qualche apertura melodrammatica – i pochi momenti di tenerezza sono ben congegnati – e qualche invenzione visiva qua e là, come gli abbracci fra madre e figlio che con le loro pose plastiche mimano l’iconografia rinascimentale della Pietà.

Certo, lo sguardo di Katugampala è forse ancora un po’ acerbo e fatica a trovare una sua cifra personale, ma il film si distingue senza dubbio per la grande onestà: Per un figlio non fa segreto delle limitate possibilità produttive ma al tempo stesso evita ogni estetizzazione della povertà, e pur con un piccolo film ci regala un ottimo esempio di cinema multiculturale, giovane e migrante.

Maria Sole Colombo