Carcere della Dozza di Bologna: nell’ex palestra della prigione nasce FID, Fare Impresa in Dozza, progetto sul quale hanno investito tre aziende bolognesi, che coinvolge un gruppo di detenuti nella costruzione di macchinari industriali. Ad affiancare i detenuti lavoratori troviamo degli ex operai specializzati in pensione, i tutor, che parlano il dialetto bolognese e non disdegnano la risata. Il progetto è finalizzato all’assunzione dei detenuti alla fine della pena, e viti e bulloni diventano i primi argomenti di discussione.

Filippo Vendemmiati, giornalista, trova nel cinema la dimensione ideale per raccontare un’esperienza forte ed umana come quella nata all’interno del carcere: in un macrocosmo difficile ed opprimente come la prigione, dove il tempo è rallentato e i giorni sono tutti uguali, l’officina si trasforma in luogo di scambio, incontro e consapevolezza. Il regista, già avvezzo ad utilizzare la macchina da presa con un piglio giornalistico (come in E’ stato morto un ragazzo, film che prova a far luce sull’omicidio di Federico Aldrovandi, e nel più recente Non mi avete convinto, biografia dell’ex Presidente della Camera Pietro Ingrao), mantiene la giusta distanza tra sé e i detenuti, evitando il dramma facile ed il voyeurismo per vite che nascondono molta sofferenza: alcuni carcerati si raccontano nelle loro celle, con riserbo e silenzio, senza dichiarare mai il motivo che li ha trascinati dietro alle sbarre. Le giornate passano tra rituali semplici ma indispensabili, come la sveglia la mattina, la pausa caffè, il ritorno al lavoro, con la volontà di narrare i rapporti tra tutor ed allievi, mossi da umanità ed entusiasmo. Immagini del lavoro in presa diretta si alternano ad alcune interviste ai protagonisti.

Meno male è lunedì ha il pregio di non essere solamente il resoconto di un’esperienza formativa ed indispensabile, ma anche una riflessione sul concetto stesso di lavoro: quest’ultimo risulta, all’interno di uno spazio chiuso, un elemento imprescindibile nella vita di ogni detenuto, una componente che nobilita ed impegna mente e corpo di chi la pratica. Le parti si invertono e quello che all’ ”esterno” viene vissuto spesso come una costrizione, all’interno della prigione si fa vitale e necessario: è nella quotidianità più semplice che i detenuti trovano una liberazione diversa e costruttiva. Non a caso, la canzone composta assieme a Carlo Amato dei Têtes de Bois che accompagna il film di Vendemmiati recita “Labor omnia vincit”: la fatica vince ogni cosa e, dopo la domenica, si tira un respiro di sollievo perché, fortunatamente, è già lunedì.

Caterina Sokota