Uscito da qualche settimana, e ora disponibile anche in lettura presso la Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna, il bel volume curato da Donatello Fumarola e Alberto Momo, Atlante sentimentale del cinema per il XXI secolo, DeriveApprodi, Roma, 2013. Si tratta del resoconto di 50 incontri con registi e autori del cinema contemporaneo, “avvenuti in bar e stanze d’hotel, in cortili e giardini, o in piccoli improbabili spazi ricavati in corridoi o in sale di proiezione”. A metà tra le conversazioni tra amici e il genere dell’intervista cinefila (uno dei più emozionanti per gli appassionati), il viaggio non è solo metaforico, visto che i due curatori hanno raccolto le testimonianze tra Italia, Europa e America, non di rado (anzi, spesso) approfittando dei festival, che si confermano luoghi di germoglio per il comune interesse verso la settima arte. Gli incontri cominciano simbolicamente nel 2001, ma non sono tutti lineari, né compiuti in un solo luogo, e a volte si ha l’impressione, esaltante, di assistere a frammenti di un discorso amoroso che si compongono in fieri. Del resto – ed è quello che ha risvegliato l’immediato interesse di Cinefilia Ritrovata – il sottotitolo contiene quell’aggettivo, “sentimentale”, che supera d’un balzo ogni categoria critica e accademica, facendo prevalere l’idea di una cartografia (concetto cui i curatori tengono molto) di stampo emotivo. Ma chi sono questi registi? Il libro comincia con Kiyoshi Kurosawa e si conclude con Tonino De Bernardi (importante punto di riferimento personale e artistico per Momo) ed enrico ghezzi, forse il critico che più di tutti ha saputo disegnare una costellazione filosofica a tanto cinema contemporaneo, altrimenti disperso e pulviscolare.

In mezzo troviamo Béla Tarr, Hou Hsiao-hsien, Takeshi Kitano, Quentin Tarantino, Monte Hellman, Johnnie To, Abel Ferrara, George A. Romero, Philippe Garrel, Frederick Wiseman, Julio Bressane, e molti altri, tra cui anche i compianti Raoul Ruiz, Paulo Rocha, Sran Brakhage, Alberto Grifi. Il resto della lettura è non solo una delizia, ma un inno al piacere del fare e del vedere cinema, due pratiche la cui distanza il libro azzera. Alla fine dell’introduzione, i curatori fanno proprio un esergo di Chabrol, pensato per una collana di qualche tempo fa. E’ talmente bello che lo riportiamo, appropriandocene a nostra volta: “Questo libro è stato concepito in balia dell’umore, con indolenza. Dedicato a tutti quelli che vanno più volentieri al cinema che alla messa”.