Da qualche mese sui blog cinefili non si parla d’altro. Vulgar Auterism è una nozione coniata dal critico Andrew Tracy – e poi rapidamente proliferata – per indicare registi che recano un’impronta molto forte sul proprio cinema ma ricorrendo, invece che ad arti raffinate e tendenti al sublime, a materiali apparentemente rozzi, volgari e violenti. Per intenderci, non si parla di Haneke o Bertolucci, ma di Michael Bay, i fratelly Farrelly, Tony Scott,  Justin Lin (e così via). Il dibattito si è fatto enorme, tra pro e contro, o anche solo per definire quali cineasti possano far parte di questa categoria. Noi offriamo un pezzo riassuntivo in inglese comparso sul New Yorker e un articolo scettico, tradotto in italiano, di Girish Shambu.