Il piacere di rivedere West Side Story. Con uno sguardo particolare: suono e musica. Partiremo da un aneddoto, una conversazione tra Stanislavskij e Cechov. A teatro, durante le prove del Gabbiano, Stanislavskij voleva mettere sul palco delle rane e delle libellule vere per rendere più realistica la scena. Ne discusse con Cechov, il quale gli chiese: “Perché?” e Stanislavskij rispose: “Perché è vero, è più realistico”. Al che Cechov disse che era inutile, allo stesso modo in cui è inutile togliere da un ritratto a olio il naso dipinto per sostituirlo con un naso vero.

Al cinema, come al teatro, la questione della presenza degli effetti sonori si configura come una scelta di regia; tanto più che tra le funzioni cui il suono postprodotto può assolvere (narratologiche, drammaturgiche, estetiche, di caratterizzazione di genere), c’è quella che Bazin definiva, per il cinema, di riproduzione dell’ “effetto di realtà”. Proprio per questo, la  questione dell’introduzione di un livello più o meno alto di realismo sulla scena viene risolta, dall’istanza enunciativa, con l’assegnazione alle diverse fonti sonore (voci, rumori, musica) di criteri di importanza strutturati gerarchicamente. E così – per ritornare al teatro – Cechov si oppone all’introduzione del gracchiare delle rane perché pensa che il pubblico debba prestare attenzione al testo teatrale recitato dagli attori, piuttosto che essere distratto dall’ascolto di fastidiosi versi animali, anche se strategicamente funzionali alla riproduzione della realtà.

Ad un ascolto ridotto – per dirla con Chion – West Side Story  (Robbins, 1961) è un musical senza effetti: il film – la cui sceneggiatura è gia un copione teatrale perchè ripropone il dramma shakespeariano di Romeo e Giulietta – si caratterizza per le sue ambientazioni urbane senza rumori ambientali: all’interno dei suoi scenari  quasi anecoici,   le bande rivali dei Jets e degli Sharks ballano e cantano di modo che i dialoghi – nonché i testi delle canzoni – assumono il rilievo necessario alla caratterizzazione acustistica del genere. Il patto spettatoriale è rispettato: l’alternanza canti/dialoghi segue la struttura canto/recitativo tipico dell’opera lirica di tradizione colta; proprio come nell’aria del melodramma, il canto esprime i sentimenti del protagonista (I have a love di Maria) anche nella forma del duetto (si pensi alla canzone One Hand, One Heart  cantata dai protagonisti innamorati sulle scale), oppure sviluppa il tema annunciato nel dialogo (il quintetto del brano Tonight).

Ma lo spettacolo sonoro si articola anche grazie alle tecniche del montaggio (alternato, quando i personaggi cantano The Rumble prima della rissa; o sonoro, quando, come nella prima scena, lo schiocco di dita dei personaggi passa da extradiegetico a diegetico), o alle tecniche di sincronismo tra musica e immagini (gli strumenti a fiato che segnano acusticamente i movimenti della palla durante la partita a pallacanestro tra Jets e Sharks).

Di speciali ci sono solo due effetti: la sirena che interrompe la rissa tra le bande, e il colpo di pistola finale nell’omicidio di Maria. E’ solo una questione di economia dello spettacolo, più che da ragioni di realismo cinematografico motivata da logiche di drammaturgia teatrale.

Marianna Curia – Associazione culturale Leitmovie