Rivedere i western degli anni Sessanta su grande schermo e in versioni digitalmente restaurate (anche se rimane il dibattito sulla forza espressiva del colore una volta masterizzato) è sempre un’esperienza unica. Si riesce spesso a ricollocare forme cinematografiche in transizione e riconsiderare film che, se programmati nei caotici palinsesti pomeridiani dei canali televisivi, nessuno avrebbe voglia di ri-analizzare. Vale anche per questo bellissimo Rio Conchos di Gordon Douglas, un western dove non manca nulla: soldati nordisti, sconfitti sudisti, Apache, bandidos messicani, comprimari afromericani, cowboy avventurieri, fuorilegge e tagliagole. Il clima è quello di un western già imbastardito, pronto alle convulsioni di Peckinpah in America (ma forse non a quelle di Leone del western all’italiana), con un gruppo male assortito di persone in missione per recuperare in Messico una partita di fucili a ripetizione – sottratti da malviventi per rivenderli agli indiani. Non basta: in questo modo, una specie di colonnello Kurtz, un ex generale sudista irriducibile e impazzito, cerca una via per il riscatto a costo di allearsi con gli Apache.

Trame e sottotrame si affollano, e il livello di violenza è certamente rimarchevole per la prima metà degli anni Sessanta. Alcune sequenze mostrano una complessità di messa in scena probabilmente imprevista anche per un ottimo artigiano come Gordon Douglas, di cui i più ricordano soprattutto i film di fantascienza anni Cinquanta. Il cast – sostenuto da una splendida colonna sonora del grande Jerry Goldsmith – è di tutto rispetto: Richard Boone e Stuart Whitman nei ruoli principali, Tony Franciosa col solito sorriso da canaglia seduttrice, Jim Brown onesto e statuario, Edmond O’Brien nella parte conradiana di cui sopra. Da valorizzare.

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