È la settimana di Frederick Wiseman a Bologna. Wiseman nei suoi documentari ha narrato spesso gli Stati Uniti attraverso le loro grandi istituzioni, come in Hospital (1969) o Welfare (1975). Nel 1968 il regista ha affrontato il tema della scuola in High School (e nel successivo High School II del 1994) e nel 2013, con At Berkeley, torna a parlare di istruzione raccontando la più famosa università pubblica americana. Proprio su quest’ultimo film ci concentriamo oggi.
Wiseman, senza interferire nel racconto con didascalie o interviste, si nasconde dietro la macchina da presa e lascia liberi i propri protagonisti di agire in modo naturale. Nel lungo resoconto della vita a Berkeley si alternano lezioni, riunioni dell’amministrazione, consigli dei professori e vita degli studenti. Il regista dedica anche silenziosi e brevi spezzoni agli addetti alla manutenzione, mostrando così l’università nel suo complesso. Il racconto che ne risulta è teso a enfatizzare i caratteri di eccellenza dell’istituzione, che può provocare nello spettatore una certa invidia per un’università che si distingue per la bravura dei propri allievi, la dedizione dei professori e la lungimiranza dell’amministrazione. Wiseman non si limita però ad esaltare gli aspetti che rendono Berkeley uno degli istituti più competitivi a livello internazionale, ma pone la propria attenzione sulla crisi del 2010, in un dibattito sulla possibilità di accesso all’istruzione superiore da parte delle nuove classi svantaggiate e sulla difficoltà delle minoranze etniche, da sempre vessate dai problemi economici e di integrazione. Realizza una riflessione sull’importanza di una cultura accessibile a tutti e la necessità di prezzi adeguati per ottenere una laurea, che anche nelle università pubbliche richiede un considerevole sforzo economico. Se nella prima parte le varie sequenze sembrano essere puramente informative, il loro valore di critica diventa chiaro solo nel momento in cui si entra nel vivo delle decisioni economiche e politiche e i dibattiti si fanno più incandescenti, soprattutto in seguito alle dimostrazioni degli studenti. Una questione che sembra non arrivare a una soluzione, ma che mette sul piatto i vari punti di vista, in modo da condurre lo spettatore a formarsi una propria opinione critica.
Lo sguardo antropologico di Wiseman sceglie di arrivare al cuore dei problemi, mettendo in scena un articolato racconto della vita nel campus attraverso le voci di studenti, professori e amministratori. Il regista non si accontenta dalla prima eclatante battuta, ma attende pazientemente che il ragionamento segua il proprio corso, sia in una lezione di filosofia, che in un consiglio di amministrazione, dando visibilità a tutte le opinioni. L’autore sceglie tra oltre 250 ore di girato, raccolte in sei mesi di lavoro, le scene più interessanti e che meglio possano rappresentare questa realtà e, proprio in questo processo, si mettono in luce le caratteristiche del regista che rifugge la narrazione didascalica, ma che riesce a comunicare la drammaticità della storia. Un lavoro accurato, che ha richiesto oltre due anni di postproduzione, per realizzare 240 minuti che coinvolgono lo spettatore nell’affascinante mondo della cultura universitaria.
Chiara Maraji Biasi