La mostra Bologna Fotografata non racconta solo l’evoluzione urbanistica di una città e il susseguirsi delle vicende storiche in circa tre secoli, ma è l’occhio del fotografo il vero protagonista, fondamentale figura nota o anonima come nella locandina dell’esposizione, che dalla sua posizione privilegiata di osservatore, ritto sul basamento della fontana del Nettuno, si fa interprete dei cambiamenti del tessuto sociale e dell’assetto stradale.

Lungo le pareti del Sottopasso, riaperto con l’esposizione sui Lumière (chi meglio di loro poteva letteralmente riportarlo alla luce!) si svolge un coinvolgente percorso iconografico e sonoro fatto di riproduzioni fotografiche, filmati, canti e cori da stadio che al passaggio da una sezione all’altra della mostra per un momento sembrano fondersi con il suono ripetitivo della sirena antiaerea e l’eco dei tacchi sotto i portici. Una narrazione che dal particolare si affaccia verso un contesto più ampio, attraverso questo continuo rimando assistiamo all’evoluzione del progresso ottocentesco, siamo spettatori silenziosi di fronte alle contraddizioni di una città non abbastanza lontana dal fronte e rimaniamo altrettanto colpiti dalle ferite fisiche e urbanistiche delle due guerre, una Bologna che crolla e risorge dalle macerie consolidando le fondamenta della propria identità.

Non è facile scegliere le immagini più rappresentative, significa interrompere il dialogo creatosi nel percorso espositivo che il visitatore ritrova sul posto e non in queste poche righe di commento. Il materiale d’archivio qui esposto se preso singolarmente rappresenta un tassello di un insieme variegato, ma può comunque servire a dare un’idea frammentaria del racconto che si spera invogli a compiere una visita nel Sottopasso scendendo qualche metro sotto il livello stradale, non solo per sfuggire alla calura estiva.

La mostra comincia con la presentazione di alcuni scatti della città, un com’era/com’è di sicuro impatto visivo che introduce l’argomento. Non è di secondaria importanza la presenza di uno stipo, qui venivano custodite le fotografie volute dall’amministrazione comunale intorno alla seconda metà dell’Ottocento, una documentazione che doveva testimoniare l’offerta dei servizi del comune alla cittadinanza e che veniva riposta e ordinata nei cassetti seguendo le diciture delle targhette: Palazzi – Edifici, Monumenti sepolcrali in Certosa etc…

Questo mobiletto in legno scuro diviene emblema della meticolosa cura con cui avveniva la conservazione del materiale e che tuttora i numerosi archivi bolognesi osservano e proseguono preservando questi preziosi documenti. Testimonianze del passato il più delle volte sconosciute a un pubblico che incantato si lascia scappare versi di stupore osservando uno schermo in cui si alternano palazzi, fontane e portici ora solo immaginati.

Fin dalla prima sala cominciano ad apparire i nomi dei fotografi: Ditta Bertinazzi Carlo e Nipote, una breve incursione nella contemporaneità con i “Déjà View” di Willie Osterman, Giuseppe Michelini “di professione legale e possidente” amante del cicloturismo, seguito da Dioneo Tadolini e il suo album Vecchia Bologna. Figure di cose scomparse o modificate del 1857. Dalle famose vedute di Pietro Poppi si passa a i primi abitanti, non più ritratti come piccole ombre sfuocate inserite nel paesaggio urbano, ma a figura intera, sono gli inservienti della refezione scolastica del Comune di Bologna immortalati con gli strumenti del lavoro, carrelli e tramway mostrati con orgoglio come lo è il volto nero fumo degli spazzacamini riuniti in una lunga tavolata in Sala Borsa durante il pranzo di Natale nel 1907.

A questo punto veniamo catturati dal primo filmato, Il Grandioso corteo dei funerali dell’Onorevole Costa, pellicola di Luca Comerio realizzata nel 1910 (restauro curato da Home Movies nel 2004) che viene accompagnata dal ritratto di Francesco Zanardi, primo sindaco socialista di Bologna eletto nel 1914, seguito dalle immagini della città durante la Grande Guerra.

Non si può non sostare a lungo, pur mantenendo un occhio a debita distanza, su alcune delle più scioccanti immagini dell’esposizione, mi riferisco alle fotografie del Museo Civico del Risorgimento che mostrano le attività svolte nella Casa di Rieducazione professionale per Mutilati e Invalidi che svolse il compito fondamentale di restituire, non solo gli arti mutilati grazie al lavoro dell’Istituto Rizzoli, ma soprattutto di ridare dignità a questi uomini insegnando loro un mestiere altrimenti negato dalle gravi amputazioni.

Nella sala successiva un’immersione nella retorica fascista, l’inaugurazione nel '26 dell’impianto polisportivo del Littoriale, i relativi saggi ginnici, il concerto della Gioventù Hitleriana e Mussolini Trebbiatore in Piazza Maggiore sono solo alcuni degli scatti presentati, in parte di Nino Comaschi (collaboratore de Il Resto del Carlino) ora conservati nella Cineteca di Bologna, in sottofondo il filmato dell’Istituto Luce (1936) nel quale viene raccontata La trionfale giornata del Duce a Bologna accolto da una piazza gremita e festante fino a tarda notte.

I profughi nel rifugio della Montagnola, le protezioni antiaeree dei portici di Via Indipendenza e attorno alla Fontana del Nettuno, gli orti di guerra in Piazza Puntoni e i controlli militari tedeschi lungo le strade servono a dare un’idea della vita in città durante il secondo conflitto mondiale. Infine, al Combat film del 21 aprile 1945 realizzato dall’esercito americano si contrappone il filmato del partigiano bolognese Luciano Bergonzini detto “Stampa”, un video amatoriale nato dal curioso scambio del proprio sassofono con la cinepresa di un soldato americano la sera prima della Liberazione. I militari sfilano e la gente continua a scendere in strada, l’entusiasmo di quella giornata ci viene restituito dalla spontaneità di questi primissimi piani, sguardi che pur scrutando con diffidenza la cinepresa non riescono a trattenere un sorriso.