È un documentario necessario, quello di Jérome Wybon, che raccoglie le voci – di allora e di ora – di una parte dei protagonisti di Cannes ’68, di critici e di accademici. Ma più che una Révolution au Palais unanimemente condivisa, quello che emerge dalle testimonianze e dai filmati sono i dubbi, gli scontri interni, le divergenze che c’erano tra gli operatori e gli addetti ai lavori dell’industria cinematografica presenti al festival in quei giorni.

Passata alla storia un po’ come folclore, un po’ come pagliacciata, Cannes ’68 pare essersi poi rivelata la vera miccia del sessantotto francese. È a partire dalle marce di protesta del febbraio dello stesso anno, con la rimozione di Henri Langlois come direttore del festival, che iniziano le manifestazioni dei cineasti della nouvelle vague, con Godard e Truffaut in testa. Da qui, con le testimonianze delle cariche di una violenza inaspettata da parte della polizia, che raccontano di Chabrol col volto insanguinato e di Godard pestato, il documentario punta l’obiettivo sui fatti, alla ricerca di una cronologia degli eventi e delle ragioni dei suoi agitatori.

I contrasti interni erano più di una semplice contrapposizione generazionale: anche tra i cineasti le ragioni profonde della protesta erano sentite in maniera diversa, specie tra coloro che, come Polanski e Forman, avevano vissuto le dittature comuniste. Si pensò così di rinunciare alla sola competizione ufficiale, ma non alle proiezioni dei film, gesto del tutto insufficiente per coloro che intendevano sostenere a pieno la protesta e interrompere il festival, tra questi si ricorderà Godard: “si parla di essere solidali con le proteste studentesche e voi mi parlate di carrellate e primi piani…”

Nonostante le diverse posizioni che si andarono a creare, alcuni filmati documentano in maniera inedita i tentativi di discussione e di mediazione con i professionisti del settore. Tra questi risulta emblematica, nell’ottica di una comprensione definitiva degli eventi, la voce di un distributore il quale, ideologicamente sostenitore della protesta, allo stesso tempo non poté che dirsi rammaricato dei possibili esiti negativi che un tale gesto avrebbe potuto recare all’industria cinematografica.

Come disse Jean-Louis Bory, “il cinema è un’arma della cultura”. Le vicende di Cannes e quelle di Parigi non sono però paragonabili, e quello che emerse dagli Stati Generali del Cinema il 17 maggio è che non si trattava di sostenere solo la causa studentesca, ma si rendeva necessaria una sovversione del sistema cinematografico, una revisione dei salari e delle condizioni di lavoro nei vari settori del cinema.