A presentare Mark, disincantato artista ventiseienne gay e assoluto protagonista di Cubby, è un viaggio in macchina con la madre, fatto di telefonate con nonne e di attacchi di panico, mentre fuori dal finestrino il paesaggio rurale dell’Indiana si trasforma in quello metropolitano di New York. Un trasloco dalla campagna alla città, un saluto alla madre apprensiva e una camminata solitaria per le strade trafficate di New York. Poi una premessa: questa storia è “basata su una bugia”, Mark ha omesso delle verità e così farà ancora durante tutto il suo vagare, per questo coming-of-age gay, come un “pesce fuor d’acqua" nella grande mela. Tra le solitudini e le difficoltà a creare nuove relazioni, gli unici con cui può vantare la nascita di uno stretto legame sono: Milo, un bambino di sette anni di cui si occupa come babysitter, e “Leatherman”, “supereroe” dalle pratiche BDSM e frutto di un cupcake allucinogeno mischiato a desideri d’infanzia.

Scritto e diretto da Mark Blane (insieme a Ben Mankoff), Cubby è un esordio che si inserisce di diritto tra le opere prime più esplicitamente “indie” del cinema statunitense. Le motivazioni sono molteplici. Il film, prima di tutto, è nato grazie a finanziamenti da crowdfunding, così come tra i più noti  Wish I Was Here di Zach Braff. Allo stesso tempo si rifà ad uno stile chiaramente scanzonato. Il regista, infatti, affida un ruolo importante al disegno animato che interagisce con la scena (enfatizzando la creatività del protagonista, incorniciando personaggi e aggiungendo oggetti di scena improbabili) come, altrettanto, Michel Gondry con il suo cinema “a pop-up”, ma anche altri recenti esordi di inaspettato successo, come Boots Riley e il suo Sorry to Bother You. Infine, il film sfrutta alcune tematiche narrative altrettanto rilevanti, di un certo cinema “indie” più di successo, ovvero le famiglie disfunzionali e i loro effetti di disillusione nei singoli individui, tematiche evidentemente provenienti da lavori come quelli di Wes Anderson e Noah Baumbach (in questo film è presente anche un fedele attore di quest’ultimo: Matthew Shear).

Una commedia “indie” allora, nel senso più pop del termine, composta da una fotografia a richiami lo-fi con un'immagine che ricorda quelle in pellicola (nel formato Super 16 millimetri). Inoltre, il disegno che si sovrappone all’immagine, con una regia che segue esclusivamente il protagonista, che serve a sottolineare la soggettività del racconto e l’individualità dello sguardo di un personaggio immaturo, incompreso e continuamente fuori luogo.

Mark Blane non è solo il regista e sceneggiatore del film, ma anche attore e interprete del protagonista alter-ego - perfino omonimo se non per il cognome anagrammato, da Blane a “Nabel” - così come fece Xavier Dolan nei suoi primi e più intimi lavori che lo consacrarono  autore queer di grande successo e celebrità. Cubby di Mark Blane, quindi, potrebbe anticipare la nascita di una nuova personalità nel futuro del cinema queer americano o, almeno, un nuovo nome nella sua schiera di autori.