Reduce da una separazione amorosa molto sofferta, Rafael si mette in viaggio per elaborare il lutto della sua storia d’amore. Tre amici, tre tappe, tre capitoli (con un quarto come epilogo dedicato al protagonista): così si struttura il percorso di “riabilitazione emotiva” raccontato in 45 Dias sem Você. L’esordio nel lungometraggio di Rafael Gomes è un film che copre cinque Paesi (Regno Unito, Portogallo, Argentina, Brasile, con una puntata in Francia) eppure è fortemente intimo e personale; è un’opera che tratta di un dolore profondo e apparentemente insanabile ma lo fa in maniera leggera; è una riflessione sui ricorsi storici adattata alle microstorie di ognuno di noi.

45 Dias sem Você è dunque una pellicola apparentemente contraddittoria, che devia ripetutamente dalla strada che sembra aver preso, proprio come il suo irrequieto protagonista, inarrestabile nelle sue peregrinazioni. Eppure un poco sorprende come un film programmatico sull’amore si riveli in realtà un elogio dell’amicizia: i tre amici che aiutano Rafael a superare la separazione sono le tappe di un percorso di guarigione profondo, che permette al ragazzo di ristabilire un contatto con le proprie radici, di mettersi in ascolto dei propri desideri dimenticati e repressi.

Un film personale, dicevamo. Il protagonista si chiama Rafael come il regista (che è anche autore della sceneggiatura) e come l’attore che lo interpreta. I nomi di tutti i personaggi del film coincidono con quelli degli attori e delle attrici che danno loro volti e corpi, segno da un lato dell’osmosi tra realtà e narrazione cinematografica che permea questo progetto, dall’altro della capacità di quest’opera di situarsi sul confine che esiste non tanto tra documentario e film di finzione quanto tra storie personali e categorie generali, tra manifestazioni fenomeniche particolari e archetipi assoluti.

La leggerezza che caratterizza il racconto non impedisce infatti allo spettatore attento di cogliere sottotraccia riferimenti colti alla filosofia, all’arte, al teatro. I “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes sono ripetutamente citati (e inquadrati!) e la natura fortemente, intrinsecamente letteraria dell’amore emerge sin dalla struttura in capitoli e si radica nelle comunicazioni tra Rafael e gli amici, ricordandoci la poesia di un bigliettino scritto a mano e lasciato prima di partire, o di una dedica su un libro di Julio Cortázar (La vuelta al día en ochenta mundos,  naturalmente).

45 Dias sem Você è però anche un film “teatrale”, per l’aleggiare dello spirito shakespeariano su tutta l’opera: Julia sta facendo delle audizioni per interpretare Ofelia; Icaro è ringraziato da Rafael per essere stato “il mio Amleto”; il nome del ragazzo che ha ferito il giovane uomo è “quello del secondo soldato che appare in Amleto”. Lo è anche per la presenza dei soliloqui del protagonista, che sembrano interpellare l’amico di turno per poi rivelarsi invece delle riflessioni (s)ragionate tra sé e sé. Ma soprattutto lo è per l’allusione al potere del nome dell’amato, che conferisce al tutto una teatralità nobilitante: il passato è – in sintonia con la definizione data da Oscar Wilde – un amore di cui non si osa pronunciare il nome, almeno fino a quando non cesserà di fare male. Il nome ha infatti il potere di risvegliare sensazioni e sentimenti. Le parole di Giulietta esprimevano perfettamente questo concetto: “Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo”.

E così, alla fine, quando si accende la luce in casa, il viaggio di Rafael si conclude senza svelarci chi lo accoglierà al ritorno: Icaro, D., e “colui di cui non diciamo il nome” sono in fondo la stessa persona, la stessa maschera sul palcoscenico della vita, la stessa metafora di una funzione narrativa della vita, quel tassello che ha permesso a Rafael di (ri)costruire la propria identità.