1945. Su un aereo della Luftwaffe l’agente segreto Hubert Bonisseur de La Bath o 117 (Jean Dujardin) insieme al suo collega Jack Jefferson uccidono, nella sequenza iniziale girata come un film di guerra anni Quaranta, un colonnello nazista. La missione è compiuta e iniziano i titoli di testa in stile Saul Bass, con forme geometriche che richiamano alla memoria quelle di Anatomia di un omicidio. Un salto temporale ci porta a tonalità pastello e al 1955, ecco infatti che l’agente 117 viene spedito al Cairo per indagare sulla scomparsa di un cargo d’armi russo e sulla morte dell’amico Jack Jefferson (Philippe Lefebvre).

Hubert Bonisseur ha le movenze dello 007 interpretato da Sean Connery, ma balla come l’ispettore Clouseau di Steve Martin in La pantera rosa. Vorrebbe avere il fascino di Connery, ma finisce per raggiungere un livello più basso della sensualità del Clouseau di Peter Sellers nelle sporadiche scene conturbanti. Questo perché è un personaggio profondamente svogliato. L’agente 117 e i suoi sorrisi ebeti, che precedono le smorfie di Dujardin in The Artist, sono spesso divertenti e alcune gag più di altre rimangono impresse, si pensi alla parola d’ordine, ai pantaloni sudati dopo l’escursione, sotto il sole del deserto, a dorso di cammello e le scene di lotta che sembrano flemmatiche coreografie di danza contemporanea.

Michel Hazanavicius scrive la sceneggiatura insieme a Jean-François Halin riportando sullo schermo, in chiave parodica, il personaggio creato da Jean Bruce. I due sceneggiatori decidono di calcare sull’ignoranza del loro personaggio per trasformarlo in un presuntuoso nazionalista che si inimica chiunque gli si avvicini, compresi i colleghi; un perfetto espediente per satireggiare sul colonialismo del presidente Coty e di De Gaulle. Hazanavicius gioca con i generi cinematografici e i rimandi cinefili, ma soprattutto con gli stili comici. Così attinge sia della comicità slapstick alla Buster Keaton, come quando l’agente 117 si perde durante un inseguimento in una zona labirintica della città egiziana e nelle immagini stesse, sia da quella screwball per l’ostilità e soprattutto la rivalità fra Hubert Bonisseur e la bella, intelligente e astuta egiziana Larmina (Bérénice Bejo).

Hazanavicius non si dimentica di disseminare all’interno della trama alcuni ruoli secondari dalle caratteristiche cartoonesche: dalla spia che telefonicamente avverte l’antagonista degli spostamenti dell’agente 117 fino all’agente maldestro che non ha particolari funzioni all’interno del plot se non quella di essere continuamente percosso. E per quanto alcuni siparietti comici siano simpatici, spesso non sono necessari ed anzi risultano elementi pachidermici che portano a rallentamenti nel ritmo narrativo. Questa stessa funzione la assumono anche le troppe gag fondate sul principio della ripetitività e soprattutto delle catchphrases, che vengono portate ad una tale esasperazione che si ripercuotono sulla pazienza dello spettatore.

Molto più interessanti e comici sono i momenti in cui Hazanavicius in Agente Speciale 117 al Servizio della Repubblica - Missione Cairo usa la macchina da presa per alcuni scherzi che quest’ultima fa direttamente al suo protagonista. Così, ad esempio, quando l’agente 117 e la principessa Al Tarouk (Aure Atika) cedono a irrefrenabili istinti animaleschi, la macchina da presa si muove inquadrando il vaso, con le rose, sul comodino facendo presagire una potente scena di sesso, come in un film anni Cinquanta, ma in realtà poco dopo ridiamo; perché la macchina da presa nel continuare a muoversi fa cadere il nostro sguardo sullo specchio. Lì Hubert Bonisseur è ancora intento a togliersi i pantaloni o a continuare quelli che potrebbero essere assurdi strusciamenti. E noi finiamo col ridere ancora quando sempre la macchina da presa, intimidita da quell’immagine imbarazzante, riporta bruscamente il suo occhio sul vaso di fiori.