Il 27 marzo, secondo quanto ufficialmente stabilito dal governo Draghi, i cinema ubicati all’interno delle regioni bollate come zona gialla potranno riaprire i battenti. È passata poco più di una settimana dall’annuncio che fece parecchio discutere. Una settimana ricca di altro: il Festival di Sanremo in primis, ma anche le dimissioni di Zingaretti, il pasticcio della regione Lombardia con la gestione delle scuole ecc. Una settimana, insomma, in cui l’effetto sortito dalla notizia della riapertura delle sale e la conseguente polemica si è visto soffocare e ridimensionare (se purtroppo o per fortuna, lo lasciamo decidere a voi). Così, ne abbiamo approfittato per provare a rivedere le idee, valutare tutte le componenti in gioco e provare a lanciare qualche spunto di riflessione in più a mente fredda.

Dopo ormai quattro mesi e mezzo di chiusura, l’idea di poter tornare finalmente a godere della magia del cinema ci sembra una notizia davvero incredibile. Per alcuni di noi, si tratta di una boccata di ossigeno, di un’azione necessaria non solo per alimentare la cinefilia che ci contraddistingue ma soprattutto per mettere nuovamente in pista una filiera che dà lavoro a molti operatori coinvolti direttamente. Eppure è anche vero che, provando a metterci nei panni di un esercente, le norme previste dal decreto sono oggettivamente troppo rigide. Ciò che maggiormente lascia perplessi, inoltre, non è tanto la severità di alcuni comportamenti quanto la mancata lungimiranza di garantire a un esercizio commerciale (un cinema) un minimo di progettualità: non dimentichiamoci infatti che unicamente le zone gialle (e, ovviamente, le bianche) saranno abilitate alla riapertura. Eppure nessuno potrà mai garantire che, da una settimana con l’altra, la regione di appartenenza possa modificare il proprio colore decretando la conseguente sospensione dell’attività lavorativa.

A tutto questo andamento precario dobbiamo aggiungere il fatto che le case di distribuzione non avrebbero le garanzie necessarie per investire tempo, soldi ed energie nella comunicazione e nello sfruttamento di un film. Per ultimo, è doveroso ricordare che molte sale hanno ricevuto ristori sostanziali in grado di pareggiare i bilanci di fine anno e quindi le garanzie per “sopravvivere” alla chiusura sono a loro disposizione. Tuttavia gli aiuti statali sono fondamentali per superare i cupissimi tempi odierni, ma dall’altro lato è quanto mai necessario tornare a dialogare con il pubblico, ricordare a tutti della presenza delle sale, minare la pigra abitudine di accontentarsi del divano e dello streaming.

Come se ne esce? Lungi da noi proporre un programma di governo e soprattutto fornire soluzioni semplicistiche che facciano riferimento al buon senso ma non ai dati economici entro i quali un gabinetto deve far fronte per garantire sicurezza e ristoro a un intero Paese e non a un unico settore. Tuttavia, vorremmo provare a spostare di poco la focale del discorso. Il bivio di fronte al quale si presentano esercenti e distributori non dovrebbe riguardare la scelta di aprire rinunciando ai ristori o rimanere chiusi per ottenerli. La cultura andrebbe sostenuta proprio nella sua primaria debolezza: la fragilità. Si tratta di un settore ahinoi povero e precario anche durante il suo massimo splendore finanziario, figuriamoci a fronte di un anno di chiusura pandemica. Se era giusto ristorare le sale durante il primo lockdown (vista l’imprevedibilità e l’eccezionalità di una crisi globale impossibile da arginare diversamente), è stato ingenuo prevedere le medesime condizioni durante la seconda chiusura forzata.

Un cinema chiuso resta un problema per tutti: per chi ci lavora, per il pubblico, per la cultura. Sostenere la cultura non dovrebbe mai significare sostenerne la chiusura, quanto fornirle una stampella per rimane aperti, per resistere e premiare lo sforzo e le scelte di alcuni appassionati, folli e innamorati lavoratori che hanno deciso di persistere in un campo alieno a qualsiasi logica di mercato ma guidato da un amore irrazionale che diventa linfa vitale per milioni di persone. Ristorare un cinema chiuso rischia, oggi, di sortire l’effetto di un chiodo piantato in una bara. Per scoperchiarla e sperare in una rinascita, in una risurrezione, bisognerebbe provare a ristorare chi anche in una simile annata trova il coraggio e la passione per aprire.

To open, or not to open, that is NOT the question.