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Sentire il tempo. “L’amante” di Claude Sautet

Oggi è difficile immaginare un cinema come quello di Claude Sautet che si reggeva su una capacità di osservazione disarmante e sulla forza di sequenze che fluivano senza una direzione o un obiettivo definiti, con dei personaggi che sembravano quasi dimenticare di essere davanti a una macchina da presa. La durata di una sequenza o di un campo controcampo è sempre qualcosa di importante ai fini dell’etica/estetica del cineasta. In questo senso, potremmo definire suoi epigoni proprio Kechiche, Garrel o Dumont (e Bresson prima di tutti), per l’appunto tutti autori che hanno fatto proprio il senso e la complessità della durata non come esercizio di stile ma come mezzo per acquisire limpidezza.