C'è un momento, alla conclusione di Ask for Jane di Rachel Carey, in cui il testo di commiato elogia le donne rivoluzionarie protagoniste della narrazione, per il coraggio con il quale hanno svolto il loro lavoro, creando le condizioni affinché nessuna donna avrebbe più dovuto affrontare ciò che loro hanno affrontato. Bene. Se si getta uno sguardo sull’evoluzione politica globale degli ultimi tempi, l’ironia situazionale di quelle parole può risultare incredibilmente sconcertante. Viene da pensare, chissà se tra qualche anno non torneremo al lavoro che il Collettivo Jane iniziò a svolgere negli anni Sessanta. Oltre la sarcastica fantasia distopica, comunque, la sensazione a seguito della visione è che la storia sia più attuale che mai e meriterebbe di essere raccontata e vista dal pubblico più vasto possibile. 

Il plot è piuttosto interessante, se si pensa che è tratto da fatti storici realmente accaduti: un gruppo di universitarie di Chicago , tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, frustrate dal negato accesso al sistema di controllo delle nascite e da altre pressioni sociali, fonda un collettivo clandestino che ha lo scopo di aiutare, e ci riesce, migliaia di donne della middle class americana a interrompere la gravidanza. Con la guerra del Vietnam sullo sfondo e il mancato sostegno maschile al diritto di auto determinazione biologica femminile, le ragazze impareranno a prendersi cura di loro stesse, sfidando con coraggio lo status quo, per difendere ciò in cui credono e, nel processo, rafforzare la consapevolezza di poter esigere diritti politici e sociali ben oltre la laurea al college e il matrimonio.                                                                    

L’opera presenta più livelli di conflitto e molto materiale da esplorare; proprio per la sovrabbondanza di stimoli narrativi ed elementi storici ai quali attingere, fatica a trovare ciò che dovrebbe mostrare in profondità: la verità dei suoi personaggi oltre la mera fotografia di un periodo storico. Non mancano le caratterizzazioni sobrie e dialoghi convincenti, grazie anche alle interpretazioni riuscite e significative di Cait Cortelyou e Cody Horn, l’una specchio del suo tempo, moderata e affascinante, l’altra più aggressivamente liberale, dalla fisicità androgina e l’attitude anacronistica. Ciononostante, è il gruppo a dominare sul singolo, ed emerge forte l’assenza dello sviluppo individuale di ciascuna delle protagoniste in grado di renderle simpatetiche in modo indipendente. 

La storia di Carey non parla di donne specifiche, è una fusione approssimativa delle progressive conquiste del Collettivo e della cultura in cui sono cresciute. Ricorda e risulta complementare, per certi aspetti, all’intenso 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni. Laddove Mungiu rappresenta magnificamente il conflitto interiore di una donna in procinto di abortire – in condizioni disumane -, risultando tuttavia carente nel rappresentare il clima politico dell’epoca e la sua dissoluzione, ciò in cui Carey riesce così abilmente è mostrare il modo in cui la società degli anni Sessanta è stata progettata, nella sua ipocrisia cattolica, opprimendo le donne, a prescindere, esigendole caste, escluse dal discorso politico e destinate a non avere controllo del proprio corpo. 

Sebbene possa risultare invischiato nella sua stessa politica, a tratti posticcio, Ask for Jane resta un film solido, particolarmente importante dato il clima politico odierno; basti pensare alla crescente prevalenza delle leggi anti aborto, molte delle quali in territorio americano. Inoltre, la natura indipendente del film, lontana dai filtri patinati hollywoodiani, permette di apprezzare un’operazione difficile nel cinema mainstream: affrontare un argomento del genere con tale interesse, lieve sensibilità e compassione.