Figura centrale del cinema nigeriano, Ola Balogun – raffinato esponente della cultura africana contemporanea, membro di quell’élite intellettuale formatosi in Europa e tornata poi ad accompagnare il passaggio alla modernità post-coloniale del Paese originario – con Black Goddess firma una delle sue opere più colte e radicate nella coscienza comunitaria della sua generazione.

Il viaggio del giovane Babatunde dall’Africa al Brasile in cerca del ramo parentale perduto, discendente dal nobile Principe Oluyole catturato e ridotto in schiavitù nel XVIII secolo, si fa espressione della riscoperta delle origini rimosse alla base del movimento panafricano che, dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino agli Settanta del secolo successivo, costituì il primo passo verso una nuova concezione della condizione nera a livello internazionale. La consapevolezza di un passato comune si fa così punto di partenza per l’affermazione di un’identità come popolo e non più come singolo, uno spirito aggregante in soluzione all’attuale condizione condivisa di segregazione fisica e culturale.

Nella medesima direzione va anche il commento musicale di Remi Kabaka, batterista connazionale di Balogun, tra i maggiori rappresentanti di quella commistione tra sonorità africane e rock che caratterizzava la musica occidentale bianca di quegli anni. Collaboratore degli Stones, Paul McCartney, Steve Winwood, John Martynn e Paul Simon, Kabaka realizza per il film una colonna sonora che unisce funky e jazz, sintetizzatori e distorsori ai cadenzati moduli ritmici della musica nera tradizionale, in una soluzione sperimentale tra il free di Ornette Coleman e le tendenze più afro dell’ultimo Gillespie.

Si rafforza allora ulteriormente quell’indissolubile coesistenza di arcaico e odierno che è il fondamento della cultura africana moderna, così lucidamente sintetizzata da Pasolini in Appunti per un’Orestiade africana e Il padre selvaggio. Passato-presente, tradizione-contemporaneità diventa così il binomio caratterizzante del film che tra realtà, onirismo e spiritualismo, incarna lo spirito contraddittorio ma fortemente salvifico del continente e della sua gente: “Il futuro [di un popolo] è nella sua ansia di futuro e la sua ansia è una grande pazienza” (Pier Paolo Pasolini).