Il festival MetaCinema svoltosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna è stata l’occasione ideale per mostrare la collaborazione tra Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia (l’evento rientra nel programma della X edizione di Archivio Aperto) e La Casa Totiana; in particolare l’incontro è servito a rispolverare una storia, quella di Gianni Toti, partigiano coSmunista, come lui stesso si definiva, giornalista, poeta, regista cinematografico, scrittore etc…poco noto in Italia nonostante i numerosi riconoscimenti ottenuti soprattutto all’estero.
La Casa Totiana conserva l’archivio di Gianni Toti e di sua moglie Marinka Dallos proveniente dalla loro dimora romana, che, a seguito del cambio di sede avvenuto dopo la morte di Toti nel 2007, ha mantenuto l’aspetto originale dell’abitazione/installazione stratificata formatasi nel tempo lungo le pareti ricoperte di libri e i soffitti tappezzati di manifesti, come testimonia il documentario su Marinka di Michele Gandin, restituendoci la collocazione dei volumi della biblioteca voluta da Toti e inventariando tutti i materiali preparatori delle sue opere, i disegni, i racconti, le fotografie, la videoteca etc… conservati all’interno di questa casa d’artista per favorirne la fruizione e la conoscenza.
Gianni Toti nasce a Roma nel 1924, studia giurisprudenza e nel primo dopoguerra va a Milano, inizia a lavorare per L’Unità e altri quotidiani come Paese Sera, diviene inviato speciale in tutto il mondo per Vie Nuove e direttore del rotocalco della Cgil Lavoro. È quest’ultima esperienza che lo porta a confrontarsi con l’impostazione visiva della pagina, l’immagine assume un ruolo sempre maggiore e per la prima volta il rotocalco vede la fotografia posta in relazione con la parola. Lo stesso avviene con Carte Segrete, che per anni Toti dirige, una sorta di rivista dalla copertina cartonata, forse più vicina, soprattutto nell’aspetto, al libro d’artista.
Prima di arrivare al video Toti scrive poesie, vuole dare movimento alla parola non rispettando la sintassi tradizionale e stravolgendo la struttura della poesia in versi, la pagina viene vista come uno schermo visivo; il suo lavoro sul corpo della parola può essere messo in relazione con le sperimentazioni del Gruppo 63 e dei poeti visivi. Toti crea le parole-valigia, sintetizzando il significato di più termini che assumono un senso diverso come la fusione tra carta e meraviglia che dà origine a cartaviglia.
Nel videoritratto, Planetoti notes (1994), che Sandra Lischi, una delle maggiori studiose di Gianni Toti, gli dedica, troviamo la summa della poetica totiana che lui stesso ci espone recitando un verso di Pedro Salinas: “Poesia, dammi il nome esatto delle cose”. Toti si è reso conto che solo la poesia può restituirgli il nome esatto delle cose, gli altri sono nomi funzionali, nomi che servono a indicare questo e quest’altro nella comunicazione. Nonostante la parola “esattezza” sia talmente contraria all’idea che tutti hanno della poesia, ciò che dice la poesia è proprio il nome esatto delle cose, il nome che la poesia dà all’universo e che prima di essere pronunciato nessuno ha mai sentito.
Non è facile definire il lavoro di questo poeta che usa i linguaggi dell’elettronica, Toti si definisce un poetronico, neologismo derivato dalla poetronica ovvero da una forma di espressione artistica di sua invenzione che fonde insieme la poesia con il linguaggio visivo e sonoro dell’elettronica, un’ibridazione di diversi linguaggi che si fa forza delle peculiarità della comunicazione estetica del computer attraverso l’utilizzo dell’immagine virtuale. La videoarte e l’elettronica finalmente gli permettono di trovare quella commistione di linguaggi che meglio si adatta alla sua fervida immaginazione; la consolle elettronica diviene il suo strumento fondamentale ed è attraverso la tastiera che riesce a operare sulle immagini strutturandole in modi inconsueti.
Toti inizia a fare videopoesia alla fine degli anni '70, le sue prime sperimentazioni hanno luogo all’interno della Rai che aveva un Settore Ricerche e Sperimentazione Programmi. QQui riesce a portare avanti le sue ricerche sulla possibilità di fare poesia in televisione, un’ipotesi distante dalle classiche letture televisive di attori teatrali, andando a individuare nuovi codici e un nuovo alfabeto elettronico. Per una videopoesia-Concertesto e improvvideazione per mixer, memoria di quadro e oscillo-spettro-vector-scopio (1980) è il titolo della sua prima opera, immagini, parole e suono accompagnate dalla sua voce recitante. Toti realizza più di una dozzina di video-opere che chiama VideoPoemOpere; quando il dipartimento della Rai chiude allora inizia a lavorare all’estero, qui riceve più riconoscimento che in Italia dove le sue opere non sono mai state trasmesse dalla Rai.
Tornando a Home Movies, che ha digitalizzato e restaurato tutte le VideoPoemOpere di Toti, va ricordato che sul portale Antenati – Gli Archivi per la Ricerca Anagrafica, abbiamo la possibilità di visionare, oltre a una scelta dei fondi di Home Movies, le pellicole realizzate da Toti e da sua moglie Marinka Dallos. Questi film privati raccontano la vita e i viaggi della coppia tra la fine degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto nell’est Europa, in particolare in Ungheria, paese da cui lei proveniva.
Marinka e Gianni si erano conosciuti nel 1949 a Budapest durante l’incontro mondiale della gioventù comunista; nel 1974, Marinka, insieme ad alcuni pittori romani, aveva fondato il Gruppo dei Romanäif; le sue opere pur richiamando il fenomeno näif se ne distanziano visibilmente. Vengono anche filmati i viaggi all’estero intrapresi da Toti come inviato di Vie Nuove, pellicole che Home Movies ha messo in relazione con gli articoli pubblicati dal giornalista, come nel caso del viaggio in Tunisia nel 1962. Non ci si deve stupire se a L’Avana durante i festeggiamenti del Primo Maggio nel 1964, Toti, oltre a riprendere il comizio di Fidel Castro, insiste nel seguire tra la folla il basco di Che Guevara con il quale poco dopo si allontana per andare a bere un caffè. “Totito vamos a tomar un cafecito!”, sono queste le parole, così racconta “Totito” nel documentario della Lischi, con le quali il Che gli si rivolge annoiato dalla parata in Piazza della Rivoluzione.
Le bobine del Fondo famiglia Toti sono più di 30 in formato 8mm e in 16mm come il documentario girato negli anni '70 da Michele Gandin su Marinka Dallos pittrice, che non risultava nella filmografia del regista. L’approccio sperimentale di Toti lo si ritrova anche nei suoi film di famiglia, nonostante siano stati realizzati senza un’evidente intenzione artistica. Un caso emblematico sembrano essere le sue riprese su una spiaggia in cui scruta il corpo steso al sole di Marinka pedinandola ossessivamente. “Basta adesso mi ucciderò macchina da presa!”, scrive lei oramai esausta su un taccuino in riva al mare.
L’incontro in Accademia si è concluso con l’intervento fuori programma di Vittorio Boarini, direttore della Cineteca di Bologna fino al 2000, che con Gianni Toti ha avuto una lunga frequentazione a cominciare dai primi anni '60 fino alla fine degli anni '90. Boarini dal 1983 dirige L’Immagine Elettronica, una manifestazione dedicata alle nuove tecnologie che vede la partecipazione degli specialisti del settore provenienti da tutto il mondo, manifestazione in cui la ricerca dell’immagine elettronica viene messa in relazione con il cinema, forse troppo in anticipo sui tempi e proprio per questo a un certo punto è cessata. Negli stessi anni Gianni Toti faceva sperimentazioni elettroniche in un settore della Rai, sezione molto importante perché dava la possibilità a vari artisti di sperimentare attraverso l’uso delle nuove tecnologie.
I lavori di Toti vennero mostrati sia alla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme che alla Mostra del Cinema di Venezia. Il fascino di Gianni, racconta Boarini, “era che anticipava sempre la realtà, la sua era un’anticipazione di realtà, lui era intimamente un rivoluzionario, un avanguardista, aveva tutti i caratteri del rivoluzionario e dell’avanguardista, era un continuo rivolgere, rivoltare, modificare quella che era la realtà esistente, lo stato di cose esistente a partire dal linguaggio, quelli che sembravano giochi linguistici, a volte un po’ arbitrari, a volte un po’ sfiziosi, in realtà era il suo modo di capovolgere continuamente la realtà.
La conversazione con Gianni era qualcosa di straordinario, si passavano serate intere, non sempre si capiva tutto, non solo, ma chiedendo spiegazioni la spiegazione spesso era più difficile e complessa delle cose che non si erano capite. E però era sempre chiara questa idea che la realtà consiste nel modificare la realtà, questa era anche la sua idea di poesia. Molto interessante quando lui dice, nel filmato della Lischi, che bisogna dare il nome alle cose che è il nome che non hanno mai avuto. Ma perché le cose non hanno mai avuto il nome? Debbo essere io a darglielo, le cose non hanno mai avuto il loro vero nome, si sono sempre chiamate secondo la loro apparenza, non si sono mai chiamate secondo la loro sostanza. Cos’è realmente quella cosa? È così che Gianni, da vero avanguardista, dice: “Soltanto alla fine l’intuizione poetica può dire di una cosa che cos’è, dargli un nome, dargli un nome significa dire che cos’è nella realtà”. Tutta la vita Gianni Toti ha cercato il nome della realtà”.
Per Boarini le capacità di relazione di Gianni erano straordinarie: “Majakovskij aveva partecipato a vari film e scritto la sceneggiatura di Incatenata alla pellicola, regia di Nikandr Turkin (1918), della quale era anche interprete assieme a Lili Brik, l’amore della sua vita, fu proprio lei a regalare a Toti i pochi fotogrammi rimasti, due minuti e quaranta secondi in tutto”.
La celebre donna amata da Majakovskij aveva donato i fotogrammi sopravvissuti all’incendio della Neptun Film e Toti ne aveva tratto spunto per La trilogia majakovskijana (di cui Incatenata alla pellicola è la seconda parte) realizzata nel 1983-1984 presso il Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi della Rai. In breve, la trama narra della storia di un pittore che si innamora della ballerina protagonista di un film, la quale per amore oltrepassa lo schermo entrando nel mondo reale; su questa incredibile vicenda Toti nel 1994 scrive un libro dal titolo Lili Brik e Majakovskij, La leggenda di Cinelandia. In un capitolo dal titolo Invito alla confessione l’autore accusa di plagio Woody Allen mettendo in scena un’improbabile corrispondenza con il regista americano: “Dear Mister Alan Stewart Konisberg (…) ma ormai è il centenario della nascita di Vladimir Vladimirovic Majakovskij e, in suo onore, Lei potrebbe anche confessarlo, il plagio. Non è così grave: una “ispirazione”. Ma sì, è de La rosa purpurea del Cairo che Le parlo. A questo punto, bisognerebbe confessare che “l’ispirazione” (non abbiamo deciso di chiamarla così?) Le è venuta da Majakovskij, dal suo lungo “faro”, dal “majak” insomma, che è arrivato fino a Lei, forse attraverso l’obliquitario che Le scrive (…) non sa niente della “donna di Vladim”, della Ninfa Egeria della grande letteratura rivoluzionaria sovietica? Sa, assomigliava alla Sua Farrow. No, scusi, lasciamola stare, quella…Eppure, avrebbe potuto interpretare un film sulla vita di Lili, con quel suo faccino finto-stupido…); e dunque Lei non ha mai saputo niente neppure di Incatenata alla pellicola, e di Cuor di Télema. Ma se sono stati proiettati tante volte, negli States, un anno prima che Lei “girasse” la “Rosa”! (…) “La rosa” è uscito un anno dopo L’INPUT, e dunque. Dunque confessi il plagio! Da Majakovskij o da Toti. O da toti e due. Aspetto, aspettiamo: La assolveremo.
Read you soon.
Gianni Toti”