Gai Dimanche, cortometraggio del 1935 presentato nella sezione "Una Domenica a Bologna", è la terza apparizione cinematografica dell'allora ventottenne Jacques Tatì. Venne scritto e interpretato dal futuro autore di Mon Uncle in coppia con il celebre clown Rhum (al secolo Enrico Sprocani). I due amici immaginarono il soggetto del film, la cui regia viene affidata a Jacques Berr, ricordando gli anni trascorsi vivendo d'espedienti; è infatti la storia di due eleganti dandy senza un soldo in tasca – nella primissima sequenza per esempio vengono, a quanto pare per l'ennesima volta, cacciati dalla stazione della metropolitana nella quale hanno dormito – i quali si improvvisano guide turistiche per guadagnare qualche soldo dagli ignari turisti loro vittime.
Gai Dimanche funziona e diverte per la perfetta intesa tra i due protagonisti e per la comicità basata soprattutto sulle loro doti clownesche e mimiche. C'è sì un po' della tradizione slapstick, ma la tipica comicità fisica d'epoca muta è già un'altra cosa; in Gai Dimanche c'è infatti una comicità, per così dire, più "mimica" che realmente fisica, e inoltre il vero punto di forza del cortometraggio è l'alleanza tra i gag e le sonorità, con i suoni, le musiche e i rumori utilizzati per rafforzare l'effetto comico. Uno degli elementi tipici che ritroveremo nei lungometraggi diretti da Tatì. E non è l'unico; il comico francese infatti qui accenna alcune caratteristiche della sua poetica comica e del suo personaggio tipico, Monsieur Hulot.
È tutto ancora latente, appena accennato, ma chi conosce il cinema del comico francese può facilmente trovare qualche tema che verrà poi sviluppato e qualche gag che verrà ripresa e approfondita. A partire dalla questione del rapporto con la modernità e dal disagio, l'inadeguatezza e l'incapacità provati dal protagonista nei confronti degli oggetti che rappresentano e simboleggiano questa modernità. I problemi con l'automobile, per esempio, ricordano e anticipano i patemi che Monsieur Hulot avrà con la sua vettura ne Le vacanze di Monsieur Hulot. Viene quindi abbozzato, ancora a livello embrionale, il personaggio un po' fuori dal tempo e vittima della mancata sintonia con il progresso e il contesto, anche sociale, che di questo progresso è frutto.
È un po' come se lo squattrinato dedito all'arte dell'arrangiarsi del cortometraggio diretto da Berr fosse il primissimo passo di un percorso che avrebbe portato Monsieur Hulot ad essere in Playtime un oggetto quasi estraneo, accettato nell'agone sociale solo nei momenti in cui poteva essere visto come maschera quasi folclorica. Ultima, ma non per importanza, riflessione; in Gai Dimanche si ride parecchio.