Hana Chirinu (1938) è considerato il capolavoro di Tamizu Ishida. Racconta la quotidianità di un gruppo di gheisa che vivono in una casa del famoso quartiere di Gion a Kyoto. Siamo nel 1866, poco prima dell'imminente arrivo del clan Choshu, gruppo di samurai che minaccia di invadere la città. Nonostante la guerra civile sia l'elemento principale di questo racconto, il film racconta con forza anche la condizione delle gheisa nel Giappone di fine Ottocento. Un racconto corale, in cui emergono sporadicamente alcuni personaggi potenti e ben delineati. Queste donne parlano di molti temi, anche decisamente inaspettati per un film degli anni Trenta: oltre i meno originale racconti sulla famiglia, l'amore e le aspirazioni future, si inseriscono l'alcolismo, le realazioni omosessuali, la sessualità e il confine tra lavoro e prostituzione. Una inaspettata e innovativa riflessione sulle gheisa e la loro condizione.

Una delle particolarità di questa pellicola é la totale assenza di uomini, di cui possiamo solo riconoscerne una voce in sottofondo o percepirne la presenza dai rumori provenienti dall'esterno. Il racconto di donne non è nuovo nel cinema giapponese, e prende ispirazione dalle storie raccontate nel teatro shinpa dove il centro dell'azione sono le figure femminili. Nell'estremizzare il concetto di questa modalità di racconto, eliminando totalmente la presenza maschile, il film esprime tutto il suo potere critico alla società. Infatti, come sottolinea Burch, "l'esclusione dalla scena degli uomini [...] è un significativo corollario dell'esclusione delle donne giapponesi dalla storia del paese".

Sebbene per i temi trattati e i riferimenti al mondo del teatro shinpa la pellicola possa sembrare un'antecedente dell'opera del ben più famoso Mizoguchi, nel lavoro di Tamizo Ishida si rimane stupiti per la finezza e l'abilità nell'uso della macchina da presa. Nei 74 minuti di durata nessuna inquadratura viene mai ripetuta e ogni scena è caratterizzata da movimenti semplici e studiati. La macchina da presa gioca con gli ambienti e i personaggi. Sfruttando la tradizione giapponese di più stanze inanallate per creare la profondità di campo, appoggiandosi alle linee degli arredamenti per infondere dinamismo alle inquadrature statiche, dirigendo in maniera impeccabile i movimenti delle protagoniste,  il regista infonde un continuo rinnovamento nelle proprie immagini. Tutta la proiezione diventa una sorta di danza, elengante e fine come sono i movimenti delle gheisa. Proprio grazie a questo esce dall'impostazione teatrale del racconto, creando un film profondamente cinematografico e unico nel panorama cinematografico del Giappone.