È difficile per un ragazzo di oggi, come me, accostarsi ai film d’epoca, in particolare a quelli in bianco e nero, abituati come siamo nella società odierna agli schermi colorati e ad un genere di film molto più moderno e movimentato. Tuttavia, Il ribelle di Algeri, nonostante i suoi oltre 50 anni, è un film capace di colpire ancora ai giorni nostri, in quanto tuttora interessante e attuale. Diretto da Alain Cavalier, il film è uscito nelle sale nel 1964.

Il titolo del film è riferito al protagonista, Thomas Vlassenroot, interpretato dal celeberrimo attore e regista francese Alain Delon. La prima parte dell’intreccio è ambientata ad Algeri nel 1961 durante la fine della guerra svoltasi contro la Francia per l’indipendenza del paese; Thomas, disertore della Legione straniera francese, accetta in cambio di denaro l’incarico di rapire per conto dell’OAS (Organisation de l'armée secrète) un’avvocatessa, Dominique Servet, interpretata da Lea Massari, che si era schierata dalla parte degli algerini. Sebbene i piani fossero ben diversi, Thomas si innamora della donna e si mette contro anche all’OAS. Da traditore, disertore e ribelle è costretto a fuggire verso la Francia per scampare ai suoi nemici i quali lo hanno ferito gravemente e hanno intenzione di ucciderlo. La seconda parte del film è occupata dall’avvincente fuga di Thomas e Dominique: i due, a bordo di una caratteristica Citroën DS, intraprendono un lungo e tormentato viaggio per raggiungere la casa di Thomas in Francia.

Il personaggio di Thomas risulta ambiguo per l’intera durata del film: ci vengono presentati due suoi modi di comportarsi opposti fra loro, uno impulsivo e sregolato (lo si nota ad esempio quando uccide il compagno d’incarico ad Algeri oppure quando sul ponte finge di buttare la pistola nel fiume senza poi farlo realmente) e un altro virtuoso (non lascia morire di sete una donna nonostante sia prigioniera e nell’ultima parte del film pronuncia un breve discorso in cui riconosce il valore senza prezzo della vita). Si può dire quindi che da una parte incarna il tipico personaggio del cinema noir, misterioso e contorto, e dall’altra appare, sebbene in maniera minore, come l’eroe bello e coraggioso.

Anche Dominique è una figura mutevole: nonostante sia un’avvocatessa e, come lei stessa afferma, a causa del suo lavoro abbia visto e trattato le peggiori azioni che gli uomini siano capaci di compiere, rimane nel film un personaggio che oscilla (forse un po’ troppo) tra il coraggio e la debolezza d’animo e da una condizione di superiorità per professione e condizione sociale nei confronti di Thomas, con il procedere della pellicola i ruoli si scambiano: vediamo Thomas nei panni del “leader”. Tra i due scoppia l’amore, un amore che da un lato può risultare poco credibile, in quanto Dominique è già sposata e ha modo di passare un tempo limitato con il protagonista; d’altra parte, però, Thomas per lei rimane l’eroe che l’ha salvata dalla prigionia e che la affascina senza misura.

Riuscita la rappresentazione della guerra franco-algerina, in particolare la breve scena iniziale ambientata in Cabilia nel 1959 durante “Le Plan Challe”, una serie di famose operazioni durante il conflitto. In questa prima scena sono da sottolineare le scelte registiche di muovere velocemente la macchina da presa e di utilizzare un volume piuttosto alto per gli spari tra le fazioni nemiche con lo scopo di enfatizzare l’atrocità della guerra, tema alquanto sentito in quegli anni successivi al secondo conflitto mondiale. Anche nelle scene ambientate ad Algeri è evidente l’atmosfera tipica della guerra, sebbene questa sia giunta al suo termine: durante il rapimento di Dominique, ad esempio, è trasmessa una forte tensione, accentuata da un tamburello di sottofondo con ritmo crescente; un altro esempio è l’abitazione in cui soggiornano Thomas, il suo compagno e i due detenuti nella parte iniziale del film: sporca, fatiscente e maltenuta; da lì Thomas sente spesso le esplosioni provenienti dalla capitale algerina.

D’effetto il finale, segnato da un archetipo ricorrente nella storia del cinema e della letteratura: il ritorno. Thomas è ferito e provato dalla guerra (come ho già scritto è un disertore e, dunque, un ricercato) e quindi avrebbe numerosi motivi per aspettarsi la morte prima di riuscire a tornare a casa; tuttavia il suo attaccamento alla famiglia e alla patria ha il sopravvento e una forza quasi disumana lo spinge a rincasare in Francia. È lì che, sfinito, riesce ad arrivare alla fine del film ed è lì che la morte lo aspetta: dopo avere incontrato sua figlia in una toccante scena muta dopo sei anni che non la vedeva, muore quasi felice incarnando definitivamente la figura dell’eroe nero.