Il dramma storico giapponese (jidai-geki) è uno dei generi più tradizionali del Sol Levante. Mansaku Itami ha sovvertito le regole del genere inserendo elementi comici e satirici nei suoi lavori. Il Cinema Ritrovato, nel 2013,  ha presentato il film muto Kokushi Muso (Eroe senza pari, 1932), "parodia garbata ma audacemente sovversiva dei codici del bushido", in cui "Itami schernisce le convenzioni del genere (e) dissacra i tabù" come raccontano gli stessi curatori della rassegna. Quest'anno il cinema di Itami ritorna sugli schermi con il suo ultimo lavoro, Kyojinden, datato 1938, e visibile in replica domenica 2 luglio.

Da sempre riconosciuto come il film meno coerente con la sua poetica, Itami spoglia il suo stile di tutta la vena satirica che lo caratterizza, e proprone al pubblico un relativamente fedele adattamento de I miserabili. La pellicola è un perfetto mix tra atmosfera giapponese e influenze occidentali, tanto che anche gli attori, nella loro aspetto, ma ancor più nel modo di porsi si discostano molto dalle caratteristiche a cui siamo abituati. Primo fra tutti il protagonista, Sanpei (trasposizione di Jean Valjean), interpretato da Denjiro Okochi, che ha una fisicità assai poco comune e movenze assolutamente non convenzionali. Anche la scena dell'appuntamento tra Chiyo (Cosette nel romanzo di Hugo) e Ryo è recitata in maniera anomala, infatti i personaggi agiscono senza ritrarsi al contatto fisico, con una spontaneità molto lontana dalle convenzioni attoriali dell'epoca. Lo stesso rapporto tra Chiyo e Sanpei palesa, attraverso i reciproci gesti dei personaggi, un'intimità che ben pochi film giapponesi hanno mostrato nel rapporto padre e figlia. Inoltre l'intera narrazione è una commistione di paesaggi, Asia da un lato e richiami iconografici europei dall'altro.

Se il tono di questo film risulta differente rispetto al corpus dell'opera di Itami, sicuramente l'intento resta immutato. La verve satirica del regista e l'irriverenza critica rispetto alla società in questo caso non sono palesi, ma la scelta di un romanzo come I miserabili, simbolo dell'anti-autoritarismo, diventa audace e contestatrice, soprattutto nel Giappone di fine anni Trenta. Lo stesso incessante riferimento alla società occidentale, vista dal popolo giapponese come l'esempio da guardare per migliorarsi, diventa il modo per esprimere la propria visione critica della contemporaneità.