“La guerre est déclarée!” dice il giovane Tabard, guidando i suoi compagni verso la rivolta. La guerra è dichiarata, quindi. La guerra contro il mondo degli adulti, le istituzioni ferree, le regole, le imposizioni, le violenze sottili. Una lotta verso lo Zero in condotta. Un numero tondo, panciuto, ma pieno di rabbia e privazioni.

Zero in Condotta, girato nel 1933 dal giovanissimo Jean Vigo, è la storia di un gruppo di ragazzini che si ribella agli istitutori del collegio in un crescendo di scherzi, burle, minacce e giochi. Gli adulti son sempre grassi, sudati, melliflui. Vengono messi in ridicolo dall’occhio ironico di Vigo. Il rettore del collegio sembra quasi un bambino, nelle fattezze e nella voce, pur avendo una lunga barba a coprirgli il viso. Un giovane maestro, invece, durante una passeggiata lascia soli i ragazzi per corteggiare una signora. “Cornacchia”, un altro maestro, viene sorpreso a derubare i dolci dei ragazzi. Uomini che sguazzano nella commedia umana, ridicoli, deboli, pieni di difetti.                  

Solo Huguet rappresenta uno spiraglio di speranza. Un insegnante diverso, giovane, e forse ancora attaccato al mondo dell’infanzia. Imita Charlot, copre i ragazzi che combinano guai, fa la verticale in classe. Durante il film seguiamo le vicissitudini di  Caussat, Colin e Bruel sottoposti alle punizioni dei maestri e li osserviamo nella loro quotidianità fatta di lezioni, pranzi e cene a base di fagioli, letti bitorzoluti, ambienti gelidi e freddi. Durante la ricreazione ha inizio il complotto dei tre. Le attenzioni ambigue del professore di scienze provocano una violenta reazione verbale, “Y a la mérde,” da parte di Tabard, lui, sempre in disparte, timido, vessato dai compagni. Grazie a queste sue parole, forti e incisive, entra di diritto nel gruppo formato dai tre ribelli. E sarà proprio Tabard a guidare la Rivoluzione. Durante la festa della scuola, una festa più per gli insegnanti che per gli studenti, l’intera scolaresca fugge sui tetti, verso la libertà, verso lo spazio aperto del cielo, in un mondo dove non esiste più la cattiveria degli adulti, incapaci di comprenderli e di ricordare come si è giovani.

Un film sull’infanzia perduta, sulla memoria, pieno di amarezza ma anche di speranza, che sfocia nel finale. Un film che ha influenzato registi come Truffaut e Lindsay Anderson. È  impossibile non pensare al giovane Doinel ne I 400 colpi, figlio di quei Caussat, Colin e Bruel, che si ritrova 26 anni dopo il film di Vigo, a vivere sui banchi di scuola privazioni e incomprensioni. In Se…, film di Anderson, i giovani ragazzi di un collegio si ribellano al mondo omertoso delle istituzioni. Anche loro finiscono su un tetto, ma non c’è nessuna corsa verso la libertà. Armati di mitra, iniziano a sparare sulla folla, colpendo professori e coetanei. Sono i tempi che cambiano, ma il mondo della scuola rimane sempre lo stesso.

È interessante, infine, scoprire la lettura del film fatta del biografo di Vigo, Paulo Emílio Salles Gomes. Gomes associa la scuola al mondo e al suo microcosmo: "La divisione in bambini e adulti dentro la scuola corrisponde alla divisione della società in classi. Una forte minoranza che impone la sua volontà a una maggioranza debole". È anche questo il film di Vigo, una storia universale di vittoriosi e vinti, di giovani e adulti, di vessati e vessatori. La rivolta può cambiare le cose. E può venire anche dai più indifesi e deboli.