Clément e Alex vivono insieme, lui è gay, lei è lesbica e stanno cercando un nuovo coinquilino, ad una sola condizione: deve essere gay. Leo, giovane etero alla disperata ricerca di un posto dove vivere, insieme alla fidanzata Maeva, si finge gay per avere quella stanza. David, il precedente affittuario ed ex-fidanzato di Clément, si è trasferito a Nantes ma saltuariamente torna a Parigi e, spesso, ancora in quell’appartamento. Tra loro anche Anne, sorella di Clément con cui ha un rapporto complicato.
Dai numerosi legami - numerosi per un piccolo lungometraggio dalla durata di poco più di un’ora - che uniscono tutti i personaggi, si può evincere quanto Clément, Alex et tous les autres sia un piccolo film, certamente poco ambizioso, sulle persone e con le persone, attento più ai singoli individui che ai complessi rapporti tra loro. Costruito come una lunga conoscenza reciproca fatta di racconti, confessioni e litigi che svelano intrecci e nodi di trama, quasi sempre antecedenti al momento filmato. Infatti, anche se ritmato da continui salti temporali, lo svelarsi delle conflittualità individuali avviene cronologicamente fuoricampo, perché è un “fare i conti con il proprio passato” come storia identitaria personale.
A caratterizzare i soggetti, prima di tutto, sono gli orientamenti sessuali: mentre quelli di alcuni protagonisti sono chiari e indissolubili, e contribuiscono ad imporre un microcosmo (ovvero, l’appartamento) dove regna un organizzazione e una gerarchia atipica, altri soggetti portano una più marcata ambiguità. Questa - potenzialmente in grado di contribuire ad un complesso discorso sulle diversità - si chiarifica con lo svelarsi del film e si limita ad un discorso semplice e di minor respiro, seppur necessario, sulla tolleranza. Un “lungo presentarsi”, dove ogni singolo ha la possibilità di fare il proprio coming out personale - emotivo, relazionale o sentimentale che sia.
Cheng-Chui Kuo - giovane regista taiwanese al suo secondo lungometraggio, ma al primo in lingua francese - mette in scena una pièce teatrale scritta da lui stesso tredici anni prima. Come d’abitudine per un film che nasce dal teatro, la macchina da presa è confinata all’interno di un solo luogo che, in questo caso, è l’appartamento. A parte alcune eccezioni - forzate e spinte da una necessità di dare dinamicità ad un testo che, probabilmente, non ne ha bisogno - tutta la vicenda è ambientata nella grande abitazione parigina di proprietà di Clement; è possibile uscirne solo attraverso il dialogo, il ricordo, diapositive di vecchie foto ma anche attraverso le immagini di un film: sequenze mute in bianco e nero, realizzate dal protagonista filmmaker, che accompagnano tutta la vicenda dalla prima all’ultima sequenza, raccontando di una donna, sola (interpretata dall’attrice francese Nadine Alari, alla quale questo film è in parte dedicato) alla ricerca di relazioni umane. Piccole sequenze di un incontro, come questo film, sulla solitudine e sull’amore.