Medioevo. Nelle terre della regione di Berchtesgaden alcuni monaci cappuccini sono stati mandati per costruire un monastero e dare sollievo alla popolazione vessata dall’amministrazione repressiva e violenta di Waze e della sua flotta di figli.
Richard Häußler costruisce un film in cui il tema centrale è lo scontro di due culture, la laicità e il cristianesimo con la sua solida morale. Infatti, con Die Martinsklause voleva creare un’opera di intrattenimento che fosse in grado di richiamare un grande pubblico. Proprio per questo decise di adattare l’omonimo romanzo di Ludwig Ganghofer, molto noto in quegli anni, nonostante le sue controverse idee a favore della guerra totale.
Nel film il ruolo centrale rimane quello del prevosto Eberwin (Heinz Engelmann), pioniere della riforma canonica del monastero (di Rottenbuch) degli Agostiniani nell'Antica Baviera. Lui cerca di farsi benvolere da tutti gli abitanti del luogo con la sola forza della fede, si schiera contro il tiranno Waze, ma effettivamente lui e gli altri monaci non cercano in alcun modo uno scontro violento.
Essi aspettano infatti, il momento in cui il divino deciderà di intervenire per punire i miscredenti e i peccatori. Tuttavia il despota e suoi figli vogliono rimanere gli unici sovrani del posto e continuare ad attuare i loro crimini senza dover temere l’ira di alcuno e senza dover sottostare alle leggi di un Dio e dei suoi ministri.
Die Martinsklause è quindi parzialmente legato a una legenda simbolo della storia di una valle inospitale e rocciosa della Baviera che, ancora oggi, richiama molto turismo proprio per il monastero fondato da Eberwin. L’iconografia tradizionale è poco presente nel film, se non per quanto riguarda i costumi che però scadono in un kitsch involontario contornato da dialoghi superficiali e da storie d’amore improvvisate.
I personaggi parlano di torture su bambini, stupri su donne e carneficine in maniera sbrigativa, allo stesso modo sono trattate le caratterizzazioni di alcuni personaggi. Uno dei figli di Waze, per esempio, cerca in diverse occasioni di attentare alla vita di Sigenot, ma con scarsi risultati e anche con idee bislacche, la motivazione che lo spinge a fare questo è perché desidera ardentemente abusare del corpo della sorella dell’uomo. Finisce infatti per riuscire a trarre in inganno la ragazza con una trappola, dalla quale riesce a salvarsi, che ricorda una qualunque impresa malriuscita di un film Decamerotico.
La regia è sostanzialmente insignificante, gli attori hanno una recitazione molto debole e i risvolti della narrazione sono piuttosto scontati, tuttavia la particolarità curiosa di questo film in costume è l’introduzione di alcuni elementi del noir che riescono quasi a sostenere il resto del film.
Sigenot è il personaggio più interessante della vicenda, un cavaliere alla Robin Hood, temuto da tutti (Waze compreso) e rispettato da molti per la sua incorruttibilità in una valle piena di inganni e sotterfugi è anche il personaggio più curioso. Tuttavia dopo l’imbarazzante intervento divino finale, per mezzo di una frana che uccide tutti i peccaminosi, anche l’intrepido Sigenot perde il fascino del suo personaggio e scade come la banale risoluzione conclusiva, buonista e bigotta quanto il resto del film. Dall’essere incorruttibile e dalla parte di una giustizia dettata da una sua personale morale, decide di prendere i voti e seguire i monaci.