Michel Ocelot nel creare Dilili ha attinto dalla sua fantasia traducendo in immagini sullo schermo la magnificenza della belle époque. “Mi è sempre piaciuto divertirmi, fare dei piccoli regali, raccontare delle storie e disegnare” con queste parole Ocelot introduce il suo ultimo film Dilili a Parigi. Quando hai una grande passione cerchi di trasmetterla, a tuo modo, a chi è pronto ad ascoltarti e Ocelot fa esattamente questo, trasforma lo spettatore passivo, mediante gli occhi rivelatori di verità di Orel, in un personaggio cartoonesco quasi attivo. Ogni tanto, nel corso della visione, è difficile distinguere tra quella che potrebbe essere immagine del reale e quella ricostruita. L’esperienza che si cela dietro questo Grand Tour di Parigi, che va dalle strade agli enormi interni dei palazzi e dai parchi alle fogne, fa sì che le immagini scaturiscano, nell’animo di chi osserva, un’affezione per tutto ciò che accade e che scorre sullo schermo.

A favorire questa sensazione sono gli incontri che fa Dilili insieme a Orel. Questi due amici nell’indagine sui Maschi Maestri - una banda di rapitori di bambine - incontrano, grazie alle conoscenze di Orel, molti dei personaggi più facoltosi appartenenti alla sfera culturale e artistica di fine Ottocento: dallo storico Ernest Renan che grida “Parigi è morta” a Louise Michel, dal fisico Pierre Curie a Louis Pasteur, proseguendo con Pablo Picasso, Henri Matisse, Edgar Degas, Auguste Rodin, Camille Claudel, Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir, ma anche Marcel Proust, Reynaldo Hahn e Claude Debussy. Non è possibile citare tutti i nomi delle personalità all’interno di Dilili a Parigi, poiché verrebbe a formarsi una lista molto lunga. Alcuni però, all’interno della narrazione, hanno un ruolo di maggior rilievo rispetto ad altri e questi sono sia Henri de Toulouse-Lautrec che, con tanta simpatia, affianca per qualche sequenza Dilili e Orel nelle loro indagini, sia l’elegantissima e charmant soprano Emma Calvé. Chi non ha mai sognato di incontrare alcuni personaggi del passato da cui siamo stati almeno psichicamente attratti?

Un po’ come Gil di Midnight in Paris di Woody Allen, Dilili non solo ha l’onore e la fortuna di parlare con alcune delle figure storiche più importanti dell’Ottocento, ma ha anche quella di poter loro confidare con candore l’ammirazione fanciullesca che prova davanti alle loro opere. Ocelot disegna Dilili come una sorellina ed è la più giusta descrizione per questo personaggio. Così si soffre nel vederla affrontare le difficoltà che intralciano il suo roseo destino, e ne si invidia la spensieratezza e l’innocenza alla Peter Pan, che Dilili riesce ad omologare, nel corso della vicenda, a grande saggezza, coraggio e astuzia. Ocelot torna quindi a parlare attraverso gli occhi di un bambino che, come in Kirikù e la strega Karabà, ha una saggezza d’animo più tipica dell’anziano cantastorie. Dilili è una bimba che deve molto a Victor Hugo, la sua forza d’animo nel fronteggiare le ingiustizie, razziali e sessiste, ricorda infatti quella di Gavroche, ma se quest’ultimo soccombe a Parigi e al potere, la nostra eroina capeggiando una rivoluzione intellettuale guarda al futuro con positività: un nuovo mondo in cui è possibile costruire una società migliore senza che qualcuno debba genuflettersi.