“Nel mondo del cinema lei oggi è unico...continui, caro Fellini, malgrado tutto e tutti, a regalarci i capolavori che nascono dal suo profondo intuito, mentre gli altri girano film assecondando solo i gusti del pubblico.” (G. Simenon, lettera del 18/08/1976).
Si trattasse di intuito, istinto, ispirazione artistica o addirittura di una forma iperumana di chiaroveggenza, è senz’altro questa la nota segreta dell’orchestrazione cinematografica di Federico Fellini capace di dar voce alla “sconosciutezza” del mondo. Ne avrete la certezza anche voi dopo la visione del bellissimo documentario di Anselma Dell’Olio, Fellini degli spiriti, uscito in occasione del centenario felliniano e ora pubblicato in DVD.
Un documentario costruito su un sapiente collage di immagini di repertorio (interviste a Fellini, Sandra Milo, Ernst Bernhard), spezzoni dei suoi film (quelli di cui è stato possibile avere i diritti), i suoi disegni animati, e le interviste ad alcune tra le persone a lui più vicine tra cui Gianfranco Angelucci, Fiammetta Profili (assistente personale di FF per 13 anni), Marina Ceratto (amica di FF per 32 anni), Vincenzo Mollica, Nicola Piovani. Testimonianze tese a scandagliare il mondo interiore non più soltanto del regista, ma ormai vero e proprio “subconscio collettivo” che egli seppe individuare, leggere ed esprimere attraverso la sua opera. Dal momento in cui Fellini incontra Jung, la psicoanalisi e poi, in carne ed ossa, Ernst Bernhard, che lo invitò a lavorare più “seriamente” su quelli che erano i suoi sogni, il mondo onirico, l’interiorità inespressa, il simbolismo (sua naturale matrice espressiva) prese sempre più piede nella sua cinematografia, finendo per diventarne una costante inscindibile, al pari dell’onirismo, che si sarebbe espresso in modo sempre più iconografico, assumendo quasi le forme di una manifestazione delle attività intrapsichiche felliniane.
A Fellini non piaceva parlare di intenzioni, rifiutava nelle interviste di rispondere a domande circa i progetti sul suo prossimo film, il senso del viaggio era uno dei suoi grandi miti narrativi ed egli stesso riconosceva che quasi in ogni suo film si raccontava di un viaggio fatto o un viaggio sognato. Come ricorda Mollica “F.F. era un grande seguace della casualità, come dettato dell’esistenza e questa casualità lo sorprendeva come lui voleva che lo sorprendesse la vita”. Se al concatenarsi delle occasioni si debba dare il nome di fede, destino o magia non è dato sapere con certezza, ed è proprio questo il fulcro narrativo del film. Con una suddivisione in capitoli riferita al “Grande libro dei Mutamenti - I Ching”, testo oscuro e fondamentale dell’oracolo cinese, spesso liquidato dal pensiero occidentale come semplice raccolta di formule magiche, e ritenuto invece da Jung come metodo di esplorazione dell’inconscio, e consultato dal regista tanto spesso da diventarne una vera e propria bussola, Fellini degli spiriti segna la sua totale appartenenza a questa vena esplorativa: l’ "altromondo" felliniano.
Passo dopo passo Fellini degli spiriti ci porta per mano a spiccare un volo magico attraverso le credenze e il sentimento della vita felliniano: il nostro ”avvicinamento” alla sua realtà corrisponde, nel libro dei Ching, al suo “diventare grandi”, ossia l’avvicinare ciò che è forte e sta in alto con ciò che è in basso. Il cielo e la terra, le idee iperuranie, i sogni e le cose del mondo, le altre donne e Giulietta, Fellini e noi.
Dopo 8 e ½, che fu impostato sulla falsariga di una seduta psicoanalitica, dopo la crisi del regista (che si lamentava col suo alter ego “non ho proprio niente da dire, ma lo voglio dire lo stesso, e i tuoi spiriti perché non mi vengono incontro?”), nacque, dall’incontro con Bernhard, un altro Federico. E poi venne Giulietta degli spiriti grazie a cui espresse finalmente in modo definitivo la sua poetica del sogno: “il sogno è un film che tenta di essere molto vicino alla verità delle cose, perché non c’è niente di più sincero di un sogno che si difende dalla interpretazione ovvia, parla il linguaggio del simbolo che è molto più vero del linguaggio concettuale”.
Fellini credeva nelle sincronicità, le coincidenze significative (evidenziate da Jung) tra le nostre aspettative (psichiche) e un fenomeno naturale esteriore (fisico). Aveva dei luoghi da lui deputati come “energeticamente forti” come via dei Cessati Spiriti, dove affermava di sentire delle voci mentre camminava, le voci di quelli venuti prima di lui. La cartomante di via Cessati Spiriti gli attribuiva doti di medium bianco, capace di scacciare gli spiriti cattivelli simili al parolacciaio Olaf, che si prendeva gioco di Giulietta durante la seduta spiritica di Giulietta degli spiriti. Le sedute spiritiche furono una costante nella loro vita coniugale, finché lui non fece “l’arco isterico” e Giulietta lo pregò di smettere.
La passione per l’occulto ed il paranormale vengono ripercorse e ricostruite con succulenti aneddoti, che generano un’aura di mistero e magia intorno alla vita dell’anima di Fellini. A che cosa credeva? Con quale sentimento affrontava la vita? Che risposte cercava l’autore e il visionario? Dalle testimonianze dei suoi amici cattolici comprendiamo che anche la fede, come la magia, fu da lui intesa più come “un conforto, un appoggio” che come una sponda sicura. “FF si attacca si arrampica a tutte le cose che esistono per colmare questa ansia che egli avverte di qualche cosa di fondamentale, definitivo, certo” e allora quando la natura non risponde “FF chiamerà il fato, cercherà nell'oroscopo, nelle streghe, una risposta, una battuta, anche una battuta può essere riposante nell’istante in cui lo sconcerto dentro è pieno”.
Fellini era un uomo alla ricerca di sé stesso, fu capace di riempire di senso e sentimento la sua vita, grazie alla sua personalissima religione magica, che lo mise in contatto con la dimensione spirituale più profonda. Dal contatto con questa dimensione nacquero i suoi film che furono per lui mezzo di rivelazione spirituale e per noi assunsero una potenza quasi medianica, capaci di metterci in contatto con la parte più profonda anche di noi. Proprio per questo come dice Gianluca Farinelli “non ci sono dubbi che Fellini fosse un profeta o un mago”, sapeva leggere nelle persone, aveva questa dote rara, sapeva leggere dentro l’anima, sapeva vedere al di là della forma, i suoi set erano sedute collettive a metà strada tra psicoanalisi e magie. “Asa nisi masa” o il contare fino a dieci erano le formule magiche che si sostituivano alle battute dei copioni. Così come la musica dei suo film, le musiche di Nino Rota in particolare, furono il medium per elevare le sue immagini a una sorta di esplorazione mistica del senso della vita. Il misticismo felliniano non è mai assente dai suoi film, è una voce costante anzi la sua tensione continua verso il Mistero di Dio, il mistero del mondo era per lui capitale (come ricorda Aldo Tassone) e tentava spesso anche scenograficamente di superare i limiti naturali di ciò che è umano, per dare una immagine materiale dell’infinito inesplorabile.
Fellini degli spiriti restituisce agli spettatori, in particolare ai più accaniti fautori della visionarietà del regista, la matrice più autentica della sua arte, il punto di origine del suo tessuto iconografico: la magia di un mondo visto dall’alto di una scala a pioli tesa su un albero (zio Teo di Amarcord) radicato per terra o, se preferiamo, da un’altalena che libra nell’aria (come quella dello Sceicco bianco o di Sandra Milo in Giulietta), cullata dal vento, altro grande elemento medianico felliniano. Il vento come forza della natura, ma anche come movimento puro e come tale prettamente cinematografico - anche se il vento, come tutto il cinema di Fellini, si appella ad altri sensi, perché a Federico per dar forma e sostanza al suo cinema non bastò mai solo la semplice vista, e le sue immagini furono sempre accompagnate da un surplus sensoriale fatto di tatto, udito e mille riferimenti olfattivi.
Il vento fu per Fellini una marca stilistica: “ora figura salvifica, ora elemento disturbante, ora respiro autobiografico o voce dell’inconscio”. Il vento, un’altra forma di magia, o divinità pagana evocante il mistero del mondo. Quello imperscrutabile che Federico non cessò mai di indagare. Del resto “chi cerca Dio lo trova dove vuole” (La dolce vita), e a noi spesso capita di ri-trovarlo nei suoi film o in documentari, come questo, che ne rievocano la magia.