Nel pomeriggio della seconda giornata del Future Film Festival 2016 ha trovato spazio nella sezione Premiere dei film fuori concorso una piccola follia d’animazione classica fusa con elementi in CGI che risponde al nome di Ghost Messenger. Dato l’ampio successo riscosso con l’origine seriale per il mercato home video, lo Studio Animal, animazione indipendente coreana, si convince a realizzare il primo di una serie di lungometraggi tratti dalla serie. Questo primo capitolo vede alla regia Bong Hue Gu, già specializzato nella serialità con GoonZu, My Little 3 Daughters e Closers.

Orgogliosamente caotico nello sprigionare una fantasia sfrenata, Ghost Messenger procede per accumulazione dando il semaforo verde a svariate deviazioni immaginifiche sul tema. In questo somiglia a tanto di già visto disegnato tutto assieme, senza però mai esserlo fino in fondo, talora purtroppo, talora per fortuna. Nel raccontare di questo ragazzino vedente spettri (come Haley Joel Osment ne Il sesto senso) che trova un cellulare capace di catturarli e imprigionarli al suo interno (Ghostbusters incontra Pokémon), Gu gioca molto sul concetto di fotografia come ladra di anime e, tra combattenti ultraterreni con armature rubate a Final Fantasy VII e metamorfosi che si portano dietro un bagaglio culturale che va da Devilman a Fullmetal Alchemist (senza però mai sfociare nel raccapricciante), pare utilizzi l’intera avventura del giovane sfidante delle regole tra mondo dei vivi e quello dei morti (un Death Note molto annacquato) come metafora dell’elaborazione del lutto, grazie ad un colpo di scena che coinvolge il suo simpatico nonno, che pare uscito da un episodio di Ranma ½.

Questo primo di una serie di film, come si evince dal finale volutamente aperto, appare pieno di volontà ma al tempo stesso è vigliacco, troppo ancorato ad un immaginario conosciuto e rassicurante per tirare fuori uno straccio di personalità e rischiare. Vi ricorda per caso una space opera con astronavi e spade laser uscita nelle sale durante le passate feste natalizie? Ecco, siamo da quelle parti: si spera che nei prossimi episodi la situazione migliori e si manifesti un minimo sindacale di originalità.

Tuttavia sono prodotti come Ghost Messenger che destano ancora una volta l’interesse per le diversità narrative tra oriente e occidente: è evidente che Gu ha bene in testa il caos che ci spara davanti agli occhi, esso non è il risultato di incompetenza, è proprio un altro modo di intendere il cinema. Se già Hayao Miyazaki ci aveva avvertito con Ponyo sulla scogliera che noi occidentali siamo troppo fissati col volere spiegazioni per ogni cosa, Gu porta tale concetto all’estremo. Questo di Ghost Messenger è davvero affascinante.