Tra le proposte di FFKids, sezione per i più piccoli del programma del Future Film Festival 2016, spicca la proiezione del film d’animazione Il gigante di ferro di Brad Bird. Uscito nel 1999, basato sul racconto di fantascienza per ragazzi L’uomo di ferro di Ted Hughes del 1968 e sviluppato in tecnica tradizionale con l’aggiunta di elementi in CGI, si tratta dell’esordio sul lungometraggio del regista statunitense.

Come avrebbe fatto anni dopo con Gli Incredibili e Ratatouille, anche qui Bird riflette sulle insicurezze umane legate al confronto con il diverso. Se nei suoi film targati Pixar l’umanità perde fiducia nei supereroi costringendoli ad una vita comune e prova disgusto all’idea che un topo possa cucinare in un ristorante stellato, ne Il gigante di ferro scopriamo che qualche decennio prima eravamo più o meno gli stessi, anche al tempo vivevamo di paranoie e paura, specie se nel 1957, in piena Guerra fredda, un gigantesco robot venuto da chissà dove atterra sul suolo americano. Il gigante di ferro cucina Il GGG di Roald Dahl in salsa Transformers, regalando momenti di umorismo graffiante (si vedono tutti gli anni di Bird a scrivere e dirigere I Simpson) e un epilogo commovente, legato alla nobiltà del sacrificio in virtù di cosa riteniamo giusto essere; e come in E.T. – L’extraterrestre l’amicizia che nasce con il diverso è un club privato nel quale gli adulti non sono ben accetti.

Vin Diesel che presta la voce al gigante dimostra che già nel 1999 aveva le idee chiare sul ruolo che voleva ritagliarsi nello star system: quella del fratello maggiore che tutti vorrebbero avere, la cui mole è direttamente proporzionale al cuore, ma guai a toccargli la famiglia. Sia che si tratti di un ragazzino che vede del buono in un’enorme arma metallica, sia che si tratti della banda multirazziale della saga di Fast & Furious. Una famiglia, quella di Diesel, che guarda alle differenze non come motivo di separazione, ma come spinta di unione proprio in virtù di tali differenze. Non è un caso, infatti, che presta proprio lui la voce a Groot, che in Guardiani della Galassia più di tutti gli altri protagonisti difende a costo della vita (di nuovo la nobiltà del sacrificio) il concetto di famiglia come gruppo di persone con le quali si sceglie di vivere, più che ritrovarsi a doverlo fare per legami di sangue.

Tutto questo ne Il gigante di ferro c’era già. E Diesel, che non è stupido, lo aveva capito a differenza del pubblico americano che al tempo fece fare al film un clamoroso flop al botteghino. Un insuccesso, parafrasando Morandini quando scriveva di Re per una notte, che fa onore a Bird.