Teatro, radio, televisione, cinema, Franca Valeri ha attraversato tutti i media dando voce a personaggi femminili moderni dei quali ha saputo esaltare i difetti con cinico disincanto, signorine molto snob attraverso le quali l’attrice, e autrice, ci ha restituito uno spaccato dell’Italia del dopoguerra piena di contraddizioni nascoste all’interno di un tessuto sociale in fermento ma eternamente prossimo alla lacerazione. L’uso intelligente del linguaggio corrente alto e basso in egual misura provoca risate ma anche disappunto, in un paese in cui nei primi anni '50 l’analfabetismo è all’ordine del giorno, la Valeri inserisce nei discorsi alcune espressioni inglesi, sconosciute ai più ancora soggetti all’egemonia della lingua francese: “È stato un po’ hard arrivare fin qui da lei, ma avendo io una testa harder than ci sono arrivata”.
Non si dice e non si chiede l’età a una signora, l’argomento è molto confidential, direbbe forse la Valeri in procinto di compiere gli anni, e potremmo tranquillamente aggiungere che lo scorrere del tempo non ha scalfito quell’ironia arguta pronta a sfatare falsi miti smantellando i capisaldi della modernità. Dopo aver scritto diversi libri dai titoli evocativi come Animali e altri attori (2005), Bugiarda no, reticente (2010), La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia) (2016) ecco l’ultimo memoir, Il secolo della noia (2019).
“C’è una battuta in una poesia di Carlo Porta”, scrive Franca Valeri, “che mi ha sempre affascinato come un piccolo dogma, a proposito di due giovani preti: ‘Duu gingella che riden per nient’ (…) Comunque oggi non vedo come trovare degli sciocchini come i gingella suddetti, che si dilettino a ridere per qualcosa d’inconsistente. Quello che sembra rallegrarli appare con uno strano velo di tragicità, non chiaro, ma abbastanza evidente. (…) Rimane però qualcosa di sospeso che fa apparire questi giovani non permeati di allegria, ma di un evidente distacco dalla vitalità, fatalmente noia. (…) È incredibile come su ogni elemento di questa vita facilitata dal progresso e felice si possa annidare un rapido declino. (…) È una specie di incubo che blocca le intelligenze, la noia; ma definire questa noia non è facile, perché non corrisponde alle sue prerogative tradizionali. Non è una mancanza di svaghi, al contrario. (…) La gioventù affronta con un coraggio disumano l’impossibilità di un’estasi creativa; gli altri dovrebbero essere grati di quello che potrebbe donare, invece molto spesso ne hanno solo paura. È un po’ triste che i giovani oggi non abbiano degli idoli come quelli del secolo scorso; idoli che hanno dato gioia e pensiero. Che questo abbia a che fare con la noia del secolo? Mi ritrovo tante volte, anche adesso che ho difficoltà, quasi impossibilità a camminare – però è come se lo facessi – a ripetere velocemente: ‘Che noia! Che noia! Che noia!’ Perché siamo viziati dal ricordo e sappiamo che ci siamo molto divertiti anche con quasi niente, come quei due famosi cretini del Porta”.
Lo sguardo di Franca Valeri, sicuramente privilegiato e ostinatamente critico, pervaso da un dandismo di fondo, ha fatto luce sulle miserie umane senza distinzioni di classe, dando voce a opinioni, slogan, idee correnti, destinate a preservare gli spettatori dalle minacce del secolo, come recita nell’introduzione ai Carnet de notes messi in scena con il Teatro dei Gobbi, assieme ad Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli (stagione 1951-52), un secolo che ama rappresentarsi, autodefinirsi, essere colto in tutti gli atteggiamenti, come nelle istantanee dei giornali in rotocalco.
Non poteva di certo mancare almeno una delle tante interpretazioni di Franca Valeri, ancora i Gobbi, una delle esperienze di maggiore libertà creativa: Alta moda ovvero Eccesso di competenza.
“Contessa, buon giorno, mi perdoni se l’ho fatta aspettare, ma ho molto pensato a lei. Ho trovato un modellino che credo proprio sia il suo genere. Semplice, sportivo, elegante. Me lo sono messo io così lei si rende meglio conto… Ecco, guardi contessa, sopra abbiamo il mantello, double-face naturalmente, così lo porta di più… la trovo molto bene contessa. Se lei mi toglie la manica e mi ci infila la gamba le fa pantalone, carino eh?… Noi abbiamo qui dietro il grande cappuccio, impermeabile naturalmente, che applicato sul davanti coi suoi poussoirs le fa tasca canguro. Bellino eh! Sì, ci può mettere il bambino è rinforzatissimo… L’abitino è semplicissimo, un niente, però abbiamo la bottoniera fiche. Non so, un bridge, una canasta, lei gioca molto, ha la sua dotazione di fiches, simpatico eh? Togliendo poi il collettino e i polsini le fanno eventualmente… costume da bagno, carino eh?… Senza contare contessa che se lei toglie tutto, è in sottoveste, qualunque occasione, le fa rendez-vous… pratico eh!…” (Carnet de notes, Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli, Franca Valeri, “Sipario”, n. 212, dicembre 1963)