In occasione dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, si moltiplicano le celebrazioni a livello nazionale e internazionale e l'Università di Bologna in particolare - città dove il poeta soggiornò più volte - lo ricorda con un progetto dal titolo 'Amor gentile, Dante e il parlar d'amore' perché il capoluogo emiliano è stato un crocevia fondamentale nel concepimento ed elaborazione dell'amor cortese. E l'amore in tutte le sue declinazioni è il filo rosso che attraversa la Divina Commedia e che collega uno degli episodi universalmente conosciuti del V canto dell'Inferno – la vicenda di Paolo e Francesca - al cinema e in particolare a un progetto mai realizzato di Alessandro Blasetti per la Cines.
In una lettera all'amico Mario Chiari, scenografo, costumista e sceneggiatore, Blasetti, il 14 aprile del 1942, scrive: "L'urgenza di presentare un film a Venezia ha imposto di abbandonare, per ora, un soggetto ancora da maturare nel suo nucleo fondamentale per gettarci a pesce barile su un soggetto il cui nucleo è invece formato da qualche annetto, come asserisce il nostro compagno di scuola Dante Alighieri; Francesca da Rimini. Puoi immaginare in che razza di condizioni io mi trovi di fronte ad una tragedia umana sulla quale il più fesso che ha scritto è stato Pellico, mentre tutti, D'Annunzio compreso, sono affogati dentro la grande orma di Dante".
Blasetti prosegue dicendo che sta lavorando "senza aria, né luce" per preparare una sceneggiatura accettabile in quarantacinque giorni e le centinaia di pagine conservate nel suo archivio non solo testimoniano quanto affermato a Chiari, ma anche che Blasetti non è solo ad affrontare l'impresa; accanto al suo, compaiono i nomi di Renato Castellani ed Ennio De Concini. Il resto della storia, almeno fino al 1944, è raccontata dallo stesso Blasetti in Il cinema che ho vissuto dove è riportato integralmente il rovente scambio epistolare tra il regista e Luigi Freddi che bocciò il progetto, dichiarando di aver ricevuto perentorie indicazioni "dalle alte sfere".
Il rammarico per Blasetti fu tanto più bruciante perché avrebbe voluto come protagonista Alida Valli - sua ex allieva indisciplinata al Centro Sperimentale - che invece fu consacrata sullo schermo come attrice drammatica da Mario Soldati in Piccolo mondo antico (1941). Il progetto parve del tutto accantonato quando Freddi chiese a Blasetti di assumere la regia di Quattro passi tra le nuvole, un soggetto acquistato da Beppino Amato che da anni tentava di realizzarlo, proponendolo a diverse case di produzione.
Cosa assai curiosa, nell'archivio è conservato un elegantissimo catalogo con copertina rigida dei film in produzione alla Cines e che sarebbero stati distribuiti dall'ENIC nella stagione 1942-43, in cui si trova la bozza della guida pubblicitaria del film Francesca da Rimini, ma - ed ecco la sorpresa – il regista designato è Augusto Genina che nello stesso anno invece presentò al Festival di Venezia Bengasi che vinse come miglior film. Il mistero s'infittisce, anche alla luce di quanto scrisse Steno nel suo diario Sotto le stelle del '44 (a cura di Tullio Kezich) in cui, a più riprese, lo stesso dichiarò di collaborare, insieme a Blasetti, Soldati e Castellani, alla stesura della sceneggiatura di Francesca da Rimini.
Gian Piero Brunetta in L'isola che non c'è, ricorda un passaggio fondamentale di queste memorie in cui Steno svelò l'ostinazione di Blasetti per questo soggetto: "con la Francesca da Rimini vuole agitare l'importante problema del bisogno d'amore che è rimasto oggi dopo tanta distruzione". Il progetto evidentemente non era stato affatto accantonato da Blasetti, ma nella documentazione dell'archivio del regista non c'è traccia di questo ulteriore sviluppo, anche se le sorprese non finiscono qui.
Con il titolo Paradiso perduto: Francesca da Rimini, emerge una scaletta presumibilmente del primo trattamento (firmato Blasetti, Castellani, De Concini) allegata a un accordo con la Lux Film, datato 24 maggio 1949, in cui Antonio Musco e Alessandro Blasetti si dichiarano i soli proprietari dei diritti del 'treatment' Francesca da Rimini che cedono alla casa di produzione che ne realizzerà un film. Si legge inoltre che "il Signor Blasetti avrà il diritto di chiedervi in lettura il copione a sceneggiatura ultimata e se nulla o ben poco fosse rimasto del suo ‘treatment’, potrà chiedervi di eliminare il suo nome dalla pubblicità e dai titoli di testa". Scomparsi i nomi degli altri autori del trattamento (resta da capire chi sia e quale sia stato il ruolo di Antonio Musco), Blasetti, alle soglie degli anni Cinquanta, rinuncia definitivamente alla propria versione cinematografica della nota vicenda d'amore.
Sarà Raffaello Matarazzo che, proprio per la Lux Film, dirigerà Paolo e Francesca. La storia di Francesca da Rimini (1950); l'impianto narrativo fu evidentemente considerato lontano dal trattamento concepito da Blasetti di cui, infatti, non c'è traccia nei titoli di testa. Le due versioni della vicenda sono diverse e potrebbe essere interessante confrontarle, almeno sulla carta, visto che la prima non ha avuto vita sullo schermo; si può intanto osservare che entrambi sono accomunate dalla volontà di attualizzare il testo dantesco, rimodulandolo secondo le possibilità tecnico-espressive del cinema sonoro. L'inferno (1911) di Bertolini, De Liguoro e Padoan, capolavoro del cinema muto, non poteva più essere il modello a cui ispirarsi.
Si può inoltre supporre che la versione blasettiana avrebbe risposto alla personale necessità del regista di proseguire quel percorso di distacco dall'ideologia fascista intrapreso con Ettore Fieramosca (1938), La corona di ferro (1940) e La cena delle beffe (1942) e che questo desiderio potesse coincidere con il bisogno di pace e amore del pubblico che si trovava nel bel mezzo della seconda guerra mondiale.
Più nel dettaglio, le intenzioni di Blasetti sono note grazie alla presenza in archivio di un dattiloscritto dal titolo "Note introduttive allo schema di costruzione", allegato al trattamento: "Questa storia non è stata immaginata con preoccupazioni di fedeltà storica. [...] È quindi soltanto dalle terzine dantesche che gli autori sono partiti per la loro ispirazione". Blasetti pone l'accento sui sentimenti contrastanti che Francesca prova nei confronti di Paolo che su ordine del fratello l'ha ingannata, facendole credere di essere lui il promesso sposo: "Drammaticamente la parte più intensa della storia è proprio quella del conflitto tra l'odio e l'amore, tra il rancore e il desiderio che seguono subito dopo le nozze con Gianciotto e la forzata convivenza a tre nel castello di Rimini".
Mentre nella versione di Blasetti, dopo la lettura del libro ‘galeotto’, i due amanti – la definizione stessa di amanti fa supporre che l’adulterio sia stato consumato - fuggono nella falsa speranza di cambiare il loro destino, nel film di Matarazzo, al bacio tra i due innamorati causato dall’apprendere la storia di Lancillotto e Ginevra, segue il rifiuto di Francesca nel cedere alla passione per Paolo ed è a questo punto che la tragedia si trasforma in melodramma: Francesca - che ha solo la colpa di aver pensato di tradire il marito - vuole suicidarsi con il veleno, nel vano tentativo di salvare così l'amato.
Con questo film Matarazzo aprì la stagione "delle catene, dei tormenti, dei figli di nessuno, degli angeli bianchi e delle donne maledette, delle passioni negate e delle espiazioni voluttuose".