La cura è un processo lento, è una pratica che va affrontata a cuore fermo, inerte. La cura non ha nulla a che vedere con l’affezione, è più culto che cortesia, più che terapia è controllo. J Blakeson scrive e dirige uno spietato manifesto sull’assistenza sociale, ben lontano dall’essere una dolce parabola sulla vecchiaia, ben lontano dalle dolci atmosfere svizzere di Youth - la giovinezza, in cui Michael Caine, anziano compositore e direttore d'orchestra, vive le sue giornate da pensionato musicista nel lussuoso hotel di Davos. Se Sorrentino scrive e dirige un grande film sulla vecchiaia, sul tempo della vita che cerca di sottrarsi alla sua ineluttabilità, J Blakeson sceglie di puntare il suo sguardo sull’essenza predatoria dell’essere umano, una prospettiva belluina e ferina che urla a gran voce la sua spietata amoralità già dal titolo, I Care a Lot.

Una storia di tutela, che si spinge fino all’abuso, di sfruttamento di persone deboli impossibilitate di potersi emancipare da un sistema giudiziario asfittico e debilitante; una trama che orbita attorno a una figura ingombrante, autorevole e inscalfibile come Marla Grayson. La tutela che Marla riesce a conquistarsi va oltre la cura, è senza scrupoli e, in apparenza, inattaccabile: è un meccanismo ben congegnato e perfettamente legale. Marla è una tutrice legale professionista che paga un medico per decretare l'incapacità di intendere e di volere dei suoi assistiti. Il suo impiego è prendersi cura delle persone anziane che non hanno nessun altro che possa farlo e, una volta ottenuta la potestà su tutti i beni, guadagnandosi la fiducia dei funzionari giudiziari, Grayson comincia a possedere le loro vite: svuota i conti correnti, dimore, mette in vendita mobili e oggetti di valore e li confina in una lussuosa prigione per anziani. Con una parte dei soldi paga la retta della casa di cura, il resto è profitto.

Marla Grayson è una donna sicura di sé - e Rosamund Pike, vincitrice del Golden Globe 2021 per questo ruolo, è sensazionale - ed è evidente quanto non sia affatto una brava tutrice, ma una truffatrice camaleontica; Marla è una sopravvissuta, è una donna che prende ciò che vuole, quando vuole e come vuole, e non si scusa con nessuno per il suo comportamento. Anzi riesce sempre a sfoderare un sorriso mefistofelico e ha lo sguardo puntato sempre sulla prossima preda. La dinamica di potere che sottende I Care a Lot è alienante e impenetrabile; per questo I Care a Lot è un racconto che - sulla scia del romanzo Ragazze elettriche - indica come le donne per comandare debbano comportarsi come gli uomini, e anche il potere in quanto tale diventa un surrogato maschile. Non esiste un sano linguaggio di dominio, almeno non per una persona come Marla, per retaggio storico, quindi lo esercita facendo leva sulle relazioni che ha creato, anzi, che ha stipulato.

I Care a Lot, disponibile su Prime Video, resta il ritratto marcescente di un regista britannico che compie l’autopsia del decadimento americano, un racconto in cui esistono solo personaggi negativi, in cui si tenta di rendere l’amoralità annichilente che sottende ogni individuo meno terribile; l’operazione di umanizzazione riesce sino a un certo punto, considerato che con questa manager spietata è quasi impossibile empatizzare. È dura potersi sentire vicini a una protagonista che truffa individui indifesi, che colleziona insidie e trappole sospese come trofei in una bacheca di diapositive sacrificali. Ancor più dura è potersi identificare con i suoi nemici naturali, gangster violenti che cercano di liberarsi di lei in ogni modo. L’elemento attrattivo sta proprio nell’intreccio, nei cambi di trama e di registro, nei colpi di scena e Rosamund Pike è abile nel sostenere tutte le tonalità narrative, spostandosi sul crinale visivo con una recitazione che oscilla tra la black comedy e il crime. I Care a Lot è dominato da personaggi freddi, avidi, spregevoli, e nel mostrarne le meschinità si interroga e ci interroga su come l’apparenza e il potere interagiscono nell'America di oggi.