Sono quelli che non si sono ancora vissuti. Il tempo da riempirsi, gli amori in cui perdersi e consumarsi; i desideri, gli innumerevoli progetti, le attese. I film da vedere, rivedere, rifare e ripercorrere con lo stesso fervore ed entusiasmo. Fervore di vita, dice Trintignant. Nessuno avrebbe mai pensato che gli anni più belli di Jean-Louis e Anne/Anouk Aimée sarebbero riaffiorati sullo schermo, sfasati, sovraimpressi sulle immagini di un’auto in corsa tra le strade deserte di Parigi del cortometraggio C’était un rendez vous del 1976. In I migliori anni della nostra vita, è il passato che, nella figura di Antonie, figlio di Jean-Louis, a un certo punto irrompe nella vita di Anne: il padre sembra aver perso la memoria episodica e conservato quella semantica. Ricorda le poesie di Verlaine, ma non sa di avere un figlio e una figlia. Non accetta che qualcuno l’abbia confinato in una casa di riposo, sognando di andare a letto con la direttrice e di evadere, più di ogni cosa. Il suo unico, inscalfibile e più bel ricordo resta Anne.
Arriverà lento fino alla superficie della coscienza rattrappita di Jean-Louis quel ricordo, l’antico istante che la visione di Anne dopo cinquant’anni di assenza è venuto a sollecitare, da così lontano, a muoverlo, stimolarlo nuovamente alla vita. Facendo ritrovare questi due personaggi-attori sullo schermo e nella vita Lelouch ritorna agli abbracci (e ai selfie) in riva al mare e alle corse, lente, perché nessuno aveva né ha tuttora fretta, in macchina e contro il tempo che sembra andare di pari passo insieme a loro, in un cortocircuito in cui le storie incrociate di Un uomo, una donna rivivono in Trintignant e Aimée che ne vestono i panni sfioriti, mentre il ricordo di Jean-Louis e Anne è lo stesso del film del 1966, nitido come nitida rimane la sequenza in riva al mare nel ricordo dello spettatore.
Partire, ricordare, ritornare e riconoscersi; riconoscersi nelle voci dal timbro sempre uguale, nel gesto con cui Anne si sposta i capelli. E nello stesso momento il ricordo (del) cinema trapela nella memoria di Jean-Louis e in quella dello spettatore. I migliori anni della nostra vita rivela che non c’è né potrai mai esserci una fine in queste storie perché continuano a costellare l’immaginario di chi le ha create ed esperite e mai come questa volta e così intimamente il cinema e la vita finiscono per incrociarsi, l’uno annodato alle fila e alle trame dell’altro.
Nonostante che "non avrà tempo il tempo" (Canzonette Mortali, Giovanni Raboni) di scorrere equamente per loro due, Jean-Louis e Anne continuano a muoversi e ad andare, a riviversi come se fosse la prima volta, di nuovo in corsa. Come se tutto potesse ricominciare realmente da capo.