Per 80 minuti dodici ragazze, aprendosi con genuinità e delicatezza, raccontano il loro rapporto con la sessualità a partire dall’ iniziazione. Portano alla luce esperienze e spunti di riflessione, per cominciare a ripensare all’educazione sessuale e all’informazione, proponendone un nuovo modello. Lisa Billuard Monet e Daphné Leblond, due giovani registe uscite da qualche anno dall’ INSAS belga, decidono, a partire da un dibattito tra di loro, che al mondo occorreva qualcosa. Con Mon nom est clitoris (titolo originale di Il mio nome è clitoride e opera prima per entrambe), presentato nel 2019 al FIFF nella categoria Place aux docs, compiono una vera e propria azione sociale, lasciando un documento prezioso e necessario. Le testimonianze proposte in questo documentario traducono una libertà comunicativa rivendicata con umorismo, coraggio e spontaneità dalle ragazze.
Non c’è alcuna pretesa stilistica da parte delle registe e si da spazio alle parole, che vogliono riacquistare la loro importanza. “Verginità” e “preliminari”, strettamente aggrappate al concetto di penetrazione – riflettono – sono fuorvianti e riduttive oggi, rispetto al prismico universo che si cela, in realtà, dietro la sessualità.
Con la volontà di portare i discorsi ad un aspetto concreto, si parte dall’anatomia, quella del clitoride (o della clitoride, perché è corretto anche al femminile). L’organo più mitizzato e oscurato nella storia della donna, riacquista importanza e presenza - nella sua interezza - con un’azione decisiva da parte delle registe, che, tramite le animazioni, correggono le illustrazioni di alcuni libri di testo. A partire da questo presupposto si dipana un ventaglio di tematiche: prime esperienze, piacere, consenso, masturbazione, informazione libera e corretta, stereotipi. Le giovani rimettono in discussione tutto, aprendo un dibattito che scava nel profondo dell’esperienza, della soggettività e della condivisione di essa.
Il montaggio segue il flusso delle domande e sono pochi gli espedienti utilizzati per inframezzare la fissità dei piani sulle ragazze; troviamo in brevi momenti found footage, animazioni e archivi di famiglia. Il letto e la sua camera, in un rapporto metonimico col tema, sono l’ambientazione in cui le registe decidono di inserire le loro protagoniste. Lisa e Daphne ripropongono, con l’allargamento di alcuni piani, dettagli scenografici delle camere da letto di ciascuna (la stampa di un copriletto, un quadro, il mobilio), presentando da una parte la specificità di ogni singola ragazza e palesando dall’altra la loro presenza di mediatrici nell’ambiente.
Il mio nome è clitoride è un documentario che vuole farsi portavoce di una necessità, quella di una corretta educazione sessuale, soprattutto femminile, basata sul dialogo aperto e sul confronto, e che facendosi rappresentante ambisce a diventare oggetto stesso per questa rivoluzione. La sua semplicità, la sua freschezza e le grafiche utilizzate per costruirlo alludono genuinamente a questa ambizione, facendolo diventare il documento da far vedere a tutte le giovani donne che si avvicinano alla scoperta della propria sessualità.
“La volontà è quella di cambiare il mondo e di affermare il diritto delle donne a un'educazione sessuale informata, libera da vincoli e tabù”.