Non c’è da meravigliarsi se nel 1945 René Clair accetta di girare in Francia una commedia leggera: la seconda guerra mondiale è appena finita e il Maestro francese ben conosce le potenzialità del cinema. C’è bisogno di un cambiamento (nella società e sullo schermo), c’è bisogno di freschezza, di storie che scaldino il cuore. Proprio perché consapevole del potere taumaturgico e morale dell’arte, René Clair ambienta Il silenzio è d'oro nel mondo del cinema muto, costruendo una rete di simpaticissimi personaggi attorno a un autore di film interpretato da un magnifico Maurice Chevalier e sviluppando una struttura narrativa che prende le mosse da un triangolo amoroso per diventare riflessione non solo sull’amore ma sul rapporto tra realtà ed apparenza.

Del resto, il cinema è anche mezzo per creare illusione e le vicende di Emile (Chevalier), Jacques (François Périer) e Madeleine (Marcelle Derrien) hanno più di un’analogia con i meccanismi della settima arte. Emile è regista anche fuori dal set: è lui che di fatto scrive la sceneggiatura della love story tra la sua pupilla Madeleine e il suo protetto Jacques; è lui a dirigere gli attori di una storia d’amore di cui vorrebbe essere protagonista ma che diventa l’unica in grado di spezzargli (ancora, dopo molti anni) il cuore; è lui, dapprima così ironico e scettico sulle donne e sull’amore, ad esserne travolto quale un adolescente alle prime armi, esattamente come se rispondesse al cliché nel quale tutti provano a ingabbiarlo dal primo momento.

Ma qui sta la grandezza di René Clair: nella delicatezza con cui apre ai nostri occhi la purezza dei sentimenti dei protagonisti, facendo crollare etichette, categorie, ruoli definiti non tanto socialmente quanto moralmente (Emile si sente responsabile di Madeleine come un padre per una figlia, per questo all’inizio non vuole considerare l’idea di provare sentimenti di altro tipo per lei). O nella bonaria ironia con cui dipinge i maschi “farfalloni” per poi richiamarli all’ordine all’insegna della protezione di Madeleine. Anche questo è il tocco di un vero artista, che conferma quanto aveva scritto André Bazin: “La stilizzazione dei personaggi e delle situazioni, la riduzione del mondo a congiunture morali, coincide splendidamente, in René Clair, con l'essenza stessa del cinema, che è immagine e movimento. La sua opera è quella di un moralista perché ha saputo ritrovare la morale nel cinema”.

Se dunque anche nel caso di Il silenzio è d'oro  René Clair realizza un’opera “morale”, nondimeno utilizza ogni componente cinematografica per aumentarne il valore artistico. Ironicamente (dati il titolo del film e la professione del protagonista) il regista investe proprio la musica di un ruolo particolare a fini narrativi. Come cambia l’atteggiamento di Emile nei confronti del violinista di strada in base all’umore derivante dall’evolversi della situazione con Madeleine (l’amore gli fa apprezzare e desiderare una musica che prima detestava), così lo sviluppo delle due storie d’amore è affidato ad un unico tema musicale di Georges Van Parys che si modifica in modi diversi a seconda della coppia: mentre nel caso di Emile si sfuma dall’esecuzione violinistica all’uomo che canticchia da solo osservando il ritratto incorniciato della giovane, il motivo si struttura a mano a mano che cresce la storia d’amore tra Madeleine e Jacques, passando da una esecuzione con violino solo ad un trio e infine ad una grande orchestra da ballo, che accompagna la danza dei giovani innamorati.

Il silenzio sarà d’oro ma grazie, René Clair, di averci parlato ancora così.