Il trattato di Darwin L'origine della specie parla chiaro, nonostante la riluttanza di scienziati, filosofi e teologi dell'epoca. Non esiste una vera e propria discendenza diretta, ma l'uomo e lo scimpanzé hanno avuto un antenato in comune vissuto tra i quattro e gli otto milioni di anni fa. Le conclusioni darwiniane pongono l'uomo come ultimo tassello dell'evoluzione, un essere superiore, il Sapiens che ha vinto in partenza la battaglia con l'altro concorrente, destinato per sempre a rimanere un gradino in basso. La scienza non lascia scampo alle scimmie ma il cinema e il videogioco raccontano la storia di un'evoluzione diversa che si muove tra liane di pellicole e giungle di pixel.

Nel 1933 si affaccia al mondo un'ottava meraviglia: King Kong, creato dalla mente di Merian C. Cooper. Il regista venne ispirato da una chiacchierata con un esploratore scientifico appena tornato da una piccola e sperduta isola orientale in cui aveva rinvenuto il rettile più grande al mondo, il drago di Komodo. King Kong è un essere primitivo, gigantesco e istintivo che viene strappato dalla sua isola preistorica e costretto a diventare un fenomeno da circo. Con l'obiettivo di vendicarsi degli uomini che lo hanno catturato, schiaccia, distrugge e frantuma i giocattoli militari scatenati contro la sua furia. Scappa tra le strade di New York, si arrampica sull'Empire State Building e alla fine trova la morte per mano dell'aviazione americana. La realtà è che a uccidere la bestia è stata però la bella protagonista, Ann Darrow, e l'amore che la gigantesca scimmia provava nei suoi confronti.

King Kong si arrende quindi, arresta la sua ira di fronte all'umanità o almeno a quella parte di umanità che merita di essere salvata, ma la sua eco distruttiva si è propagata nel tempo fino a raggiungere i coin-op degli anni '80. Donkey Kong fa infatti le veci del primo "King Kong videoludico": uno scimmione primitivo che proprio come il mostro del cinema rapisce la bella di turno portandola in cima a un pericolante edificio. A risolvere la situazione sarà Jumpman, il futuro Super Mario, che dovrà arrampicarsi tra numerosi ostacoli per salvare la giovane dalle grinfie dello scimmione. L’appetito per la distruzione dei due Kong è innegabile: sia che lanci automobili a Broadway, sia che scaraventi barili da un cabinato arcade, la prima rappresentazione della scimmia è quella di feroce antagonista dell'uomo.

Il primate è però un avversario atipico che con il tempo è andato oltre la sua indole animalesca. Il pianeta delle scimmie (1963) dello scrittore francese Pierre Boulle, mette in scena una distopia in cui i primati si sostituiscono all'uomo come esseri dominanti. Questa premessa ha mostrato negli anni una grandissima versatilità permettendo alla saga di diventare un media franchise a tutto tondo. Dal film con Charlton Heston del 1968, allo sfortunato remake di Tim Burton nel 2001, fino al reboot della serie, il cui ultimo capitolo è in sala proprio in questi giorni, con Andy Serkis a dare il volto alla scimmia rivoluzionaria Cesare. I primati generati dalla mente di Boulle sono diversi dal rabbioso Kong. Sono meno istintivi, predisposti al ragionamento piuttosto che alla violenza, almeno per quanto riguarda quella fisica. Sono pensatori, capaci di instaurare un dialogo, di imparare, di fare scelte, di sbagliare. Sono umani, in tutto è per tutto, tranne che nell’aspetto.

A dare infine alle scimmie la piena consapevolezza del loro essere ci pensano Kubrick e la sua odissea nello spazio. Già dal titolo della parte iniziale, “L’alba dell’uomo”, il film dice molto sul destino dei primati. Durante una delle prime sequenze vediamo infatti una scimmia aprire gli occhi, risvegliandosi lentamente dal sonno. Questo gesto così naturale nasconde invece un significato più profondo. La scimmia non apre solo gli occhi verso un nuovo giorno, ma emerge dall’oblio della coscienza, scopre l’ego, innalza il suo io sul branco allontanandosi da quest’ultimo e diventando individuo. La scimmia non è più una macchina di distruzione ma un essere intelligente capace di paragonarsi all’uomo, se non sostituirlo. L’idea della scimmia saggia e consapevole (e un po' folle) raggiunge il mondo videoludico in Ape Escape (1999), un ironico platform in cui un bambino deve salvare il mondo da un’invasione di scimmie che hanno addirittura scoperto il viaggio nel tempo. L’orda di primati è capitanata da Specter, una scimmia bianca che si definisce superiore all’uomo e che proprio per questo vuole sostituirlo. Il titolo è ambientato in diverse epoche ma quello che più stupisce è come le scimmie si siano adattate a ogni contesto, arrivando persino a mimare alcune tra le più famose personalità storiche.

Le scimmie cinematografiche e quelle videoludiche si evolvono senza sosta. Scatenano guerre, scalano edifici sempre più alti e imparano anche a pilotare go-kart. Non sappiamo se un giorno le scimmie avranno tre teste o viaggeranno nel tempo a gruppi di dodici; quel che sappiamo è che la loro evoluzione “mediatica” ha preso tutta un'altra strada rispetto a quella reale. E proprio come la scimmia instancabile del teorema di Borel, la scimmia batte a macchina e riscrive se stessa, diventando metafora del cambiamento continuo.