Lui: Philip (Cary Grant), esperto di finanza internazionale chiamato a lavorare come diplomatico alla Nato. Lei: Anna (Ingrid Bergman), famosa attrice delusa dalla superficialità degli uomini. L’altra: la moglie, lontana e senza nome. Sembrerebbe il classico triangolo amoroso se non fosse che “l’altra” non esiste: se l’è inventata Philip per avere una scusa efficace e inoppugnabile in caso di indesiderate proposte di matrimonio. Anna però questo non lo sa. Rimane comunque troppo affascinata da quell’uomo che sa conversare (anche se beve sempre scotch e soda, come il suo ultimo, noioso compagno) e accetta la situazione: l’amore clandestino, i sotterfugi per poter rimanere da soli e per non turbare quella rispettabilità su cui si basano le relazioni sociali dell’ambiente londinese dell’epoca (siamo nel 1958). Anna e Philip sono amanti a un passo dal coronamento dell’amore, separati da un ostacolo che in fondo non è che l’eterna paura dell’uomo di impegnarsi.

La magnifica pellicola 35 mm in Technicolor proveniente dalla Robert Harris Collection, che ha permesso agli spettatori del Cinema Ritrovato di godere di una varietà coloristica di rara freschezza, presenta anche nei titoli di testa – differenti dalla famosa versione con le rose che si trova anche in rete – il tema della separazione:  i nomi degli interpreti sono divisi da una linea verticale, stilema che domina tutta la sequenza fino alla comparsa del nome di Stanley Donen, come a simboleggiare il merito del regista (e del cinema) di poter unire ciò che è diviso. Questa impostazione dell’inquadratura si ritrova anche in altri momenti del film, come la celeberrima sequenza della telefonata notturna tra i due amanti: Cary Grant a sinistra, Ingrid Bergman a destra, parlano al telefono e sembrano guardarsi direttamente. La verticale dello split-screen è il punto di unione delle loro mani adagiate sul cuscino, che sembrano l’una il completamento dell’altra. L’erotismo che le immagini suggeriscono (e che fingono di nascondere per motivi di censura con l’espediente dello split-screen) attraversa in sottofondo tutta l’opera ed emerge dai dettagli: i dialoghi allusivi, gli sguardi intensissimi (su tutti, quello in ascensore), la chiave che Anna lascia nell’anfora fuori dal suo appartamento dando così a Philip accesso alla sua casa e alla sua intimità.

Indiscreto è una “commedia da camera” che molto deve alla sua origine teatrale (la pièce Kind Sir di Norman Krasna), che gioca meta-cinematograficamente sull’“essere attrice” della protagonista e che trova nelle brillanti performance di Cary Grant e di Ingrid Bergman (di nuovo insieme dopo Notorious) il fulcro stesso del suo procedere: i romantici dialoghi tra i due o le divertenti schermaglie amorose sono sempre pezzi di incredibile bravura che si succedono a ritmo sostenuto affinché lo spettatore ne sia totalmente catturato e chieda ai due giganti un altro “numero”, sia esso la magnifica danza ballata con estrema e divertita eleganza da Cary Grant  o il “Damn!” urlato dalla Bergman in seguito alla scoperta della verità e ad una delle battute più memorabili del film: “How dare he make love to me and not be a married man!” (“Come osa far l’amore con me senza essere sposato!”). Ecco il paradosso al suo apice, che arriva a cercare legittimazione per la relazione “clandestina” e a suscitare ironicamente sdegno al disvelamento dell’inconsistenza dell’unico ostacolo che la renderebbe davvero illegittima.

 

Alessandro Guatti