Godard non parla di cinema: parla cinema. Sembra che non gli importi rispondere con puntualità alle domande di Lionel Baier (in diretta su Instagram qualche giorno fa, e ora reperibile su Youtube) non più di quanto potrebbe importargli filmare un bel campo/controcampo rispettando la regola dei 180°. Se John Ford faceva il montaggio in macchina, Godard parla facendolo direttamente in testa. È spiazzante, perché si tratta di un montaggio discontinuo che attinge ad un archivio di figuratività profonda, tra una citazione e un'immagine evocata, tra una scena del Godard privato e un ricordo del Godard critico. Al tempo della pandemia, di sicuro lo scarto tra un taglio e l'altro assicura l'immunità dal "virus della comunicazione", come lui stesso l'ha definito.
Sembra di stare nello studio di un pittore. JLG ha un nuovo progetto legato alla musica a cui sta lavorando con l'aiuto di Fabrice Aragno: un film in cui la direttrice dell'Opera della Bastiglia è la regina di Saba; ci sarà Bizet, ci sarà la Bohème. Interessante, poi, che in un periodo in cui a causa della quarantena la presenza fisica tende ad essere sostituita dal suo doppio digitale, Godard riveli che si sta interessando a Niépce, l'uomo che attraverso la fotografia voleva fissare la realtà (certo, prima che arrivasse Daguerre). Il procedimento avveniva in una camera oscura, come in una caverna di Platone, ed era lì che risiedeva la perversione, perché in effetti ad essere fissata era la copia (solo i musei 'fissano' l'originale): "c'est l'idée fixe" - dice - senza appagare la curiosità di chi cerca di capire se si stia davvero riferendo a un'idea platonica, a un'ossessione connaturata al medium cinema o a un procedimento compositivo alla Berlioz; sia chiaro, quindi, che queste non sono ipotesi giuste, ma giusto delle ipotesi.
Prendendo le mosse dall'esperienza di Niépce, Godard fa notare che l'impressionismo è stato un movimento di reazione alla fotografia, anche se in generale ogni pittore va oltre la copia intesa come mera riproduzione, sia che si pensi all'Aimé Pache di Liberté et Patrie o a Velázquez. "La pittura è azione": è proprio il gesto ad essere significativo, non soltanto quello pittorico, ma anche il gesto della scrittura (torna, dunque, l'idea di pensare con le mani già presente in Le livre d'image). Per Godard la scrittura non è quella automatica di una macchina IBM, ma un tratto a mano, in piccolo, dove le lettere sono forme che hanno un'importanza plastica. Ammette che spesso non riesce a rileggere quello che ha scritto ed è costretto a riscrivere, apportando sempre modifiche; come già in Histoire(s) du cinéma cita Maestro Eckhart: "solo colui che cancella può scrivere". Tuttavia, non è solo questione di levigare: Godard pensa addirittura che l'alfabeto abbia troppe lettere e che alcune vadano eliminate. È una provocazione, ovviamente, che al massimo può portare a una delle sue trovate oulipo, non fosse che c'è dietro un gioco sul nome della holding di Google, che si chiama appunto Alphabet.
Convinto che la pandemia che stiamo vivendo sia in realtà un "virus della comunicazione", già visibile nei diagrammi diffusi sulla variazione dei contagi, che ricalcano l'andamento dell'economia capitalista, fa notare che in un atto comunicativo il problema nasce già dall'emissione vocale: "la parola non è la parola, ma è la mia voce. Se voglio sentire la mia parola, come diceva Malraux, devo sentirla con la gola, non con le orecchie. Diventa un'altra cosa". Tuttavia, ad essere inadeguata è la lingua stessa - quella utilizzata dai comuni mortali, che significa troppo o troppo poco, viziata com'è dalla retorica - , ben diversa dal linguaggio di grandi scrittori quali Beckett, Joyce o Dante. Si tratta di una questione annosa, che risale agli anni dell'adolescenza, a quando, dopo aver letto Recherches sur la nature et les fonctions du langage di Brice Parain (il filosofo che compare in Questa è la mia vita), Godard aveva smesso di parlare almeno per un anno, con grande preoccupazione della famiglia.
Tornando all'emergenza comunicativo-sanitaria, il cinema, combinando parola e immagine, può agire come antibiotico: "è un po' presto perché questa crisi possa essere d'ispirazione, ma la parola 'virus' dovrà essere pronunciata". In effetti Godard ha già pensato a una sequenza dal titolo Fake News, costruita affiancando due scene dalla vita di una giornalista: prima al lavoro (titolo: Virus dell'informazione) e poi a casa sua (Vivre sa vie) mentre ascolta l'amante, la madre o la figlia. Per il momento, quindi, la pandemia sembra suggerirgli al massimo una medicalizzazione della lingua, vale a dire la riformulazione di vecchi problemi con un aggiornamento lessicale. Certo è che come sempre darà del filo da torcere ai suoi esegeti: come Joyce, Godard sa che tenere i professori occupati per secoli a interrogarsi sui significati è l’unico modo per assicurarsi l'immortalità.