1984, Sudafrica. Per Johan l’unico modo di sopravvivere al servizio militare è quello di essere arruolato nel corpo speciale dei “Kanaries”, il gruppo musicale dell’esercito. Un velo da sposa scopre il volto di un ragazzo truccato dalle sue amiche: “Sembro la principessa Diana! Avevo detto ‘Boy George!’”. La prima inquadratura di Kanarie contiene già il tema principale del film: lo svelamento dell’identità. L’opera di Christiaan Olwagen è infatti la narrazione di un percorso di accettazione della propria diversità inserito in un contesto in cui ogni deviazione dalla norma, sia essa di natura politica, razziale, musicale o sessuale, è considerata una minaccia alla stabilità sociale.

Siamo nell’epoca dell’apartheid e Kanarie ben illustra la situazione psicologica di un giovane omosessuale che, spaventato alla sola idea di pronunciare la parola che identifica il suo orientamento sessuale, si trova a vivere in una situazione del tutto particolare come quella dell’esercito, dominata dal machismo e da un’influenza religiosa cattolica molto opprimente.   La via di fuga “istituzionale” per Johan è quella di essere arruolato nei cosiddetti “Kanaries”, il corpo musicale dell’esercito (South-African Defence Force Choir and Concert Group), non perché l’addestramento militare sia meno pesante, ma semplicemente perché, essendo circondato da ragazzi che hanno una maggiore inclinazione all’arte e alla musica, sarebbe sottoposto a una pressione psicologica minore. Poi una via di fuga più intima: la musica stessa.

Il dialogo iniziale in cui il protagonista che vive in provincia chiede alla sua amica di comprargli in città i nuovi LP dei Depeche Mode e dei Queen si trasforma presto in una sequenza girata in stile videoclip sulle note di Smalltown Boy di Bronski Beat in cui Johan esprime la sua personalità attraverso una performance à la Boy George. La scelta della canzone è assai significativa: il testo parla della necessità di un giovane ragazzo bullizzato di lasciare il suo paese e la sua famiglia alla ricerca delle risposte sulla sua vita e della possibilità di trovare un affetto sincero. E’ importante ricordare che i Bronski Beat sono stati importanti sulla scena del synth pop britannico degli anni ’80 proprio per il loro impegno nel parlare di omosessualità. Questa sequenza è dunque una vera e propria dichiarazione di poetica da parte del regista, sia dal punto di vista tematico, sia da quello musicale, sia da quello visivo.

Olwagen stabilisce con lo spettatore un rapporto di chiamata in causa diretta in un discorso riguardante i generi cinematografici stessi: Kanarie è un film sperimentale in cui confluiscono il musical, il film di guerra, il coming-of-age movie e il coming-out movie. Il percorso di accettazione di sé da parte di Johan (che rappresenta sia l’accettazione della propria diversità sia il passaggio all’età adulta con la relativa assunzione di responsabilità) è infatti inserito in un contesto militare e raccontato attraverso un continuo scambio tra realtà e finzione, in cui l’espressione delle fantasie musicali di Johan viene affidata a sequenze simil-videoclip che citano Boy George. Tali inserti, colorando il mondo di Johan altrimenti coloristicamente neutro (interessante a tale proposito il lavoro sulla fotografia), manifestano a livello visivo il vero Johan, mascherato dall’uniforme dell’esercito e ingabbiato (come un canarino, appunto) dalle regole militari e sociali.

La musica si fa quindi strumento per esprimere un’intenzionale deviazione dalla norma. Ai canti tradizionali e religiosi eseguiti dal coro e dall’orchestra dell’esercito si contrappongono brani di avanguardia pop (Culture Club, Boy George) e spesso è proprio la colonna sonora a farsi metafora del desiderio di libertà dei protagonisti: si pensi ai momenti in cui un brano religioso eseguito all’organo viene contaminato da una melodia pop (Victims dei Culture Club, ad esempio).

Pur concentrandosi sul percorso individuale del protagonista, il film di Olwagen ha il pregio di aprire una finestra su una realtà che per anni è stata ufficialmente nascosta dalla propaganda del governo e della chiesa. Opere come Kanarie o Moffie di Oliver Hermanus (proiettato a Venezia 76) mostrano come il cinema sudafricano stia rielaborando la propria storia politica attraverso una narrazione di gender, ed è interessante notare come in entrambi i casi la leva che permette di scardinare la narrativa dominante sia la musica.