Torna al cinema David Fincher e la prima domanda che viene da chiedersi è: quale sarà il nuovo gioco che intratterrà col suo pubblico? In The Killer il gioco inizia fin dal trailer dove vediamo Michael Fassbender nelle vesti del tipico serial killer fincheriano: solitario, metodico, nichilista, narcisista. Un vero e proprio control freak, come il regista d'altronde. Ha un piano a cui deve assolutamente attenersi. Non fa che ripetere le poche frasi del suo codice, come se il linguaggio potesse dirigere l'azione. Ma cosa succede se non si segue alla lettera la legge che si professa? Forse il killer di Fassbender non è l'eletto, ma semplicemente uno dei molti, immerso nel mare dell'imprevedibile.

David Fincher ce lo dice da sempre: già in Se7en John Doe deve aggiustare i piani una volta che i detective si avvicinano troppo a lui; per non parlare di The Game - Nessuna regola dove questa tensione tra metodicità e improvvisazione si fa metafora della vita del set. È la grande contraddizione produttiva della messa in scena fincheriana: un regista ossessionato dal controllo su ogni componente audio-visiva dei suoi film, che non può sopportare, e allo stesso tempo vede come inevitabile, l'emergere dell'imprevedibile, dovendo quindi immediatamente intervenire, tornare al proprio codice.

Nel primo capitolo vediamo il killer appartato in una stanza a Parigi studiare il momento giusto per uccidere una persona nell'hotel di fronte. Seguiamo la sua preparazione certosina mentre in voice-over espone statistiche e informazioni di vario genere, ripete le frasi del suo codice, ascolta gli Smiths e osserva la vita dell'hotel di fronte come fosse James Stewart in La finestra sul cortile.

A chi si rivolge quel voice-over? Certamente il pubblico con cui poter così costruire l'identificazione, ma soprattutto si rivolge a se stesso. Le statistiche gli servono a rendere prevedibile il mondo, studiare i movimenti degli inquilini dell'hotel serve a convincersi del controllo che ha su di loro. Un sicario perso nell'infosfera che non si rende conto di quanto sia in realtà controllato dalle informazioni. Per questo è condannato al fallimento.

E all'erranza. Nei successivi capitoli il killer si mette alla caccia di coloro che lo avevano ingaggiato per la fallita missione parigina. Sempre con gli Smiths tra le orecchie e il codice in testa, il killer di Fassbender entra in un circuito di inseguimenti, omicidi e suspense da lui creduti come inevitabili. Ma la preda non è solo un obiettivo da perseguire dettato da un codice. Per un killer uccidere è prima di tutto un piacere.

È lo stesso piacere che prova Fincher a mettersi in gioco nel set solo per poter di nuovo esercitare il proprio controllo sull'imprevedibilità delle situazioni. Perché il killer non è il profeta di una legge divina, ma uno dei molti, un solitario narcisista che gode del controllo che riesce a esercitare sull'altro.