Come un aereo che abbia solcato il blu di un crepuscolo dicembrino per ritrovare la luce e piegare sopra la città, un teleobiettivo individua una folla. Dietro i panneggiamenti della piazza osservata, brulicante di umanità, concreta e affaccendata,  da una parte non è facile arrestare la curiosità, dall’altra non è difficile distinguere la corpulenza delle storie che si delineino.

Un mimo tenta di mordere spiritosamente il dolore di chi abbia gli occhi lessati nelle orbite, per un momento intralciandone il cammino invano. Creature più aspre e spigolose, due cani inseguono un terzo, prendendolo in odio per averne violato il territorio. Un senzatetto, dopo essersi trascinato su una panchina, riposa su un residuo di suolo fumante, riunendosi nel sonno a un mondo cristallino, immune alle fiamme delle malignità e al viola scuro della prigione. Ineludibilmente, due intrusi non osano avvicinarglisi, congetturando sulle vertiginose difficoltà fagocitate dal corpo progressivamente frustato dell’escluso.

A lungo andare si potrebbe con decisione sostenere che a Dio interessi solo il silenzio. Pertanto, l’uomo ha inventato il suono. Senonché, il primo, infinito, segretamente in combutta con una schiera di angeli irraggiungibili, non ha limiti, mentre il secondo, taciturno e orgoglioso, sarà sempre il secondo. E pur con tutta la Sua celeberrima clemenza, Dio non ne perdona mezzo. Specialmente quando risucchiato dal vortice in ebollizione del perfezionismo, in questo caso personificato dallo strumento delle intercettazioni.

Neppure Harry Caul, in apparenza simile a un umile monaco che aneli la solitudine, al contrario in stretto contatto con il protagonista del romanzo di Herman Hesse Il lupo della steppa, suo omonimo. Palma d’oro a Cannes, tra le opere più importanti degli anni Settanta, La conversazione è la storia di un investigatore privato esperto in intercettazioni, Harry Caul, portato sullo schermo da un indimenticabile Gene Hackman. Ingaggiato dal direttore di una misteriosa azienda allo scopo di spiare una giovane coppia di amanti, costretti a roteare, soffocati dall’atmosfera senza pensieri di una San Francisco a ridosso del periodo natalizio, l’ombroso Caul ne documenta il breve incontro.

Ossessivo nell’espletazione dell’incarico affidatogli, Caul, riservato fino al midollo, lavora in completa solitudine. Sordido anacoreta in un mondo del quale non condivide alcuna meta, delle cui gioie non vi è alcuna che gli arrida, riavvolge il nastro, determinato a rimuovere ogni difetto espresso dalla voce dei due, ora comprensibile e indifesa, ora metallica e sospetta. Fino a raggiungere un’improvvisa illuminazione, sfruttato ogni suo talento.

Tuttavia, anche a dispetto della logica, Dio, parco di complimenti, finisce per riscuotersi e ricorrere a misure drastiche, felice di ribadire la sua invincibilità sullo strenuo seguace, spaventato dal vigore del suo stesso ingegno. Qui si rivela la complessità della scrittura di un maestro, Francis Ford Coppola, ispirato dalla visione di Blow-Up di Michelangelo Antonioni e La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. Qui, Dio diventa Prometeo. Se Dio aveva creato giusto le idee, l’uomo ha avuto bisogno degli strumenti perché la sua parabola sopravvivesse.

Caul ne è l’esempio lampante. Riverito per la sua meticolosità, temuto per la sua tendenza a non lasciarsi coinvolgere né dalle vite degli altri né dagli attestati di stima, varcata la soglia di casa scopre di non essere l’unico in possesso della chiave. Avido custode della propria privacy, chiede incupito a una vicina se un pacchetto riposto con tanta cura non sia realmente un regalo di compleanno. Basta una penna per spogliarlo, un sogno intriso di nebbia e vergogna per ottenerne una confessione miracolosa, una notte di sesso per privarlo dell’oggetto a lui più caro. Il cuore inquieto del peccatore che abbia già messo nero su bianco la propria sentenza, il fisico banale di un anonimo esecutore, nonostante la fermezza ostentata, Caul non è cattivo.

Semmai, in un’America al culmine della paranoia, reduce dallo scandalo Watergate e alle prese con le conseguenze della guerra del Vietnam, è l’emblema di una nazione emotivamente incapace di comunicare e tormentata da azioni e circostanze illusoriamente lasciate alle spalle. Un’angoscia dello spirito evidente soprattutto in una scena in particolare. Constatata l’assenza di cimici nella sua abitazione, smontata dai fatali rintocchi di una pendola furiosa che ha usurpato una volta per tutte la calma di un’esistenza noiosa, Caul sembra esitare, prima di disintegrare una statuina religiosa.

Non solo denuncia politica e apologo morale, La conversazione è un gioiello della New Hollywood. Sviluppato indizio dopo indizio attraverso la forza drammatica di un volto anodino e significativo al contempo, in grado di aggiungere malinconia alla maschera teatrale del sogno americano, e con l’affascinante lavoro di Walter Murch, montatore e tecnico del suono, il cui contributo si è dimostrato fondamentale nel conferire sostanza a immagini ed emozioni. A tal proposito, si consiglia la lettura di Il cinema e l’arte del montaggio. Conversazioni con Walter Murch del romanziere Michael Ondaatje, autore de Il paziente inglese.