Stati Uniti, 1960, Alfred Hitchcock realizza Psyco e la famosa sequenza della doccia sconvolge, divide e si impone nell’immaginario della cultura cinematografica di quegli anni. Nove anni dopo, in Costa d’Avorio, Timité Bassori apre il suo La Femme au couteau riproponendo la sequenza, scomponendone e ricomponendone vari elementi. Un uomo nero (non più una donna bianca) sta facendo la doccia e una donna all’improvviso compare, con un coltello in mano, intenta a pugnalarlo. In verità, però, è una visione, un’apparizione non tangibile. Potrebbe essere un sogno come un allucinazione, un fantasma interiore che prende forma perseguitando il giovane ivoriano protagonista, tra angosce esistenziali e paure sessuali. Non solo, la vicenda è doppia: a quella del ragazzo viene intrecciata la storia, cronologicamente antecedente e distante, di un africano più anziano in smoking che con lui condivide visioni, ossessioni e paure.

L'accostamento tra Stati Uniti e Costa d’Avorio è soltanto l’inizio di una riflessione, che andrà ad espandersi sempre più, sull’Africa post-coloniale o, meglio, sul rapporto tra Africa e Occidente. Il film si pone una domanda importante riguardo il ruolo della cultura africana e quanto di essa possa effettivamente definirsi tale. Gli accostamenti contrastanti tra le due culture vengono messi in scena attraverso varie forme, come il protagonista che affronta la propria ossessione attraverso tradizionali metodi di cura africani e la moderna psicanalisi. L’occidente si ripropone: nella borghesia dei personaggi, nelle serate di gala e nell’evidente caricatura del signore in smoking che racconta e mitizza l’Europa e le sue meravigliose città. Una vera e propria alienazione culturale, un segno indelebile di una realtà marchiata dalla propria storia, intrappolata, come i due protagonisti, tra la tradizione africana e la modernità occidentale.

La Femme au couteau non manca anche di riflettere sulle questioni di genere. Il ruolo della donna è ambiguo, occupa una rilevanza centrale ma ambivalente. Sono due i personaggi femminili principalmente in scena: la “donna con il coltello” che perseguita il subconscio del giovane protagonista, trasmettendogli angoscia e morte, e la giovane ragazza che con lui instaura un rapporto sentimentale, per lui fonte di vita e pace. Le paure sessuali del protagonista, però, tornano insistenti (anche nei confronti della ragazza) mettendo in scena un evidente timore e un’insicurezza nei confronti dei personaggi femminili in quanto micce che fanno scattare le sue continue visioni.

Il film tocca innumerevoli altre tematiche: i discorsi sull’essere, il fragile concetto di pazzia, l’incubo della difficoltà di capire cosa sia reale e cosa non lo sia… Quest’opera è un semplice e artigianale lavoro sul cinema ma soprattutto sulla cultura nazionale. All’occidentalizzazione continua dei personaggi si contrappone la “donna con il coltello" che, secondo lo stesso Bassori, rappresenta l’Africa tradizionale abbandonata e disposta a tutto pur di riappropriarsi dei propri figli. Come in Psyco, allora, non solo la pazzia e i fantasmi interiori, ma anche la figura materna che ritorna insistentemente influenzando gesta e pensieri, non solo di un singolo ma di un’intera nazione.

Il regista nell’intreccio non prende una netta posizione ma, attraverso il suo lavoro, ancora oggi, ricorda quanto il cinema africano, pur in continua ricerca di una propria via personale e specifica, sia pur sempre alimentato da una interminabile conversazione con la cinematografia mondiale.