Corneliu Porumboiu lascia la Romania, solco quasi esclusivo del suo cinema, per approdare alla Gomera, nelle Canarie. Il regista rumeno, con il suo sguardo minimalista, lascia i suoi cieli plumbei e palazzoni cinerei per approdare in un altrove solo apparentemente empireo, costruendo una commedia a tinte noir, al centro della quale serpeggia un ispettore della polizia di Bucarest, Cristi (Vlad Ivanov). Cristi è un poliziotto corrotto che, assoldato da un gangster spagnolo per liberare un mafioso in prigione, parte per l'isola delle Canarie per imparare il Silbo, un'antica lingua fischiata, inventata dalla popolazione del luogo, in modo che possa comunicare senza essere notato dagli agenti delle forze dell'ordine locali.
La Gomera (The Whistlers), in concorso durante la settantaduesima edizione del Festival di Cannes, è molto differente dai lavori precedenti di Porumboiu; pur non condividendone il sottotesto politico e l'elemento favolistico proletario, determinanti in A Est di Bucarest e ne Il tesoro, il regista romeno sviluppa quelli che sono i suoi temi ricorrenti, come le trasfigurazioni linguistiche, mezzo per rivelare ma anche nascondere, una sorta di idealismo romantico, una fiamma che tende a essere sempre presente nella sua filmografia.
La Gomera è a tutti gli effetti un film di genere, che guarda e cita Alfred Hitchcock (realizzando un vero omaggio con una scena memorabile sotto la doccia) e Steven Soderbergh, tra giochi di ruolo e caccia al bottino in stile Ocean's Eleven; è punteggiato di colpi di scena, possiede un umorismo oscuro esibito con le architetture del noir, con tanto di femme fatale, Gilda (dall'omonimo film di Charles Vidor con Rita Hayworth). Porumboiu non fa mistero delle sue influenze. Inoltre coglie tutti gli aspetti archetipici del noir e se ne serve per decostruirli, imboccando strade sterrate che spingono l'attenzione prima verso il sospettato, punto focale della narrazione noir, poi verso una lettura allegorica relativa alla storia post-comunista della Romania.
Porumboiu rende la struttura della storia molto complessa, esibendola ritmicamente attraverso diversi capitoli e dando voce a ogni personaggio che, in questo modo, ha la possibilità di mostrare il proprio punto di vista. Il regista usa i flashback in modo energico, e compie dei salti vigorosi da un personaggio all'altro per spiegare l'intero intrigo e lo scopo del dramma. La complessità strutturale della trama porta La Gomera a un livello successivo, in cui non è l'intrigo o il piano strategico a incanalare l'attenzione, ma è senza dubbio l'aspetto linguistico, l'utilizzo dei codici di linguaggio come mascheramento, come infingimento: Porumboiu ama quella sospensione, quel limbo dove si incontrano l'autentico, il grottesco e la finzione.
All'interno de La Gomera non si sa mai esattamente cosa credere. Il pubblico è vittima di un gioco di seduzione che è la storia stessa a perimetrare, con intelligenza, e lo si può osservare nel primo flashback, quando Gilda e Cristi fingono di essere amanti. Il pubblico diventa parte di un rituale performativo in cui l'osservazione si fa esasperante e l'arte dello spionaggio non è ostacolante ma è un'occasione per stuzzicare l'incoscienza di chi guarda. Porumboiu ostenta e spinge quasi al limite la consapevolezza del pubblico, misurando il veicolo recitativo come un appuntamento con lo spettatore, che diventa componente della messa in scena e parte di un gioco di occultazione/esibizione intessuto nella trama e visibile fino all'ultimo fotogramma.