Ecco come una giovane critica, redattrice di Cinefilia Ritrovata, dialoga idealmente con Renzo Renzi, di cui festeggiamo il centenario dalla nascita.
È davvero morto Renzo Renzi? Come persona fisica della nostra realtà sicuramente sì, ma non nella realtà in cui veste i panni dell’“intellettuale disarmato”, di critico cinematografico, di autore della collana pionieristica Dal soggetto al film: in essa venivano diffuse le carte segrete dei principali autori italiani del dopoguerra. Per questo, noi, figli e nipoti di quella generazione, tutte le volte che entriamo nella Biblioteca Renzo Renzi e, nel cuore pulsante della Cineteca, sfogliamo un libro appoggiati su quei lunghissimi e imponenti tavoloni di legno, in qualche modo lo riportiamo in vita. Così come quando andiamo al Lumière a guardare (soli o con gli amici) un film di una strana rassegna dal titolo ancor più strano, spesso di provenienza talmente lontana da noi che fatichiamo a localizzarla. O nel momento in cui ci riuniamo in Piazzetta Pier Paolo Pasolini, fumando una sigaretta o bevendo un caffè, per parlare di cinema, di generi cinematografici, di nuovi e vecchi film, anche inconsapevolmente, lo omaggiamo e teniamo vivo l’amore e la passione a cui Renzo Renzi ha dedicato la sua vita.
Renzi ha sognato, immaginato e infine contribuito a creare quel “tempio” che oggi noi conosciamo come Cineteca di Bologna. Dal 1948 fu promotore del Circolo bolognese del cinema e, dalla sua costituzione nel 1962, fu Presidente, come scrive Vittorio Boarini in La dolce vita del cinema d’autore (1942-1975), della Commissione cinema, voluta da Renato Zangheri, che successivamente nel 1967 ha dato vita alla Cineteca del Comune di Bologna: “che trova un suo iniziale patrimonio nei libri di cinema della Biblioteca dell’Archiginnasio e in quelli che Renzi decide di mettere a disposizione della costituenda Istituzione comunale, insieme a un nutrito fondo di fotografie.” [Loris Lepri]
Renzo Renzi scrive nell’elaborato dal titolo Il Palazzo dei Suoni e delle Visioni (all’interno di La sala buia diario di un disamore) di aver immaginato per anni che il “cinematografo dovesse possedere un grande palazzo pubblico”. In quel testo Renzi riadatta la struttura dell’Arena del Sole ad un’idea di progetto che voleva chiamare “Palazzo delle Visioni […] o meglio Palazzo dei Suoni e delle Visioni, Image et Son (Godard), ma anche, con qualche concessione turistica, Son et Lumière.”. E nella sua lucida descrizione di quel sogno, che riportiamo qui di seguito, possiamo trovare molte similitudini con l’attuale struttura della Cineteca e le sue iniziative: “Dovrebbero esserci molte salette contenenti moviole, per esaminare i film in gruppi, e molta pellicola da tagliare e rimontare, film da smembrare, nastri da srotolare e gettare nei cesti ad un fine appropriante e demitizzante. Il Palazzo, infatti, dovrebbe diventare il tempio della coscienza critica, dove s’impara a non lasciarsi incantare tanto facilmente (com'è successo a noi). L’occhio vigile, anche l’orecchio. E non solo per il cinema, ma anche per i nuovi mezzi […] bisognerebbe aprire subito anche un ufficio delle relazioni interdisciplinari, collegamenti di posta pneumatica col Dams, ecc. […] Nel Palazzo dovrebbe esserci anche un reparto psichiatrico per studiare le malattie da film ed un luogo di pronto soccorso per raccogliere i feriti lievi da identificazione-proiezione. […] Nella fronte del Palazzo, invece, ci sono già due grandi terrazzi a balconata per le feste cinematografiche, da celebrare secondo lo stile di Quatorze juillet, polke e valzerini, quando non si voglia ricorrere ai cori, alle trombe e ai timpani di Prokofiev”.
Forse il sogno di Renzi non era totalmente utopistico e non c’è bisogno, come aveva scritto, di farlo saltare in aria come nel finale di Zabriskie Point. Renzo Renzi è quindi ancora vivo, anche se scomparso nel 2004, o meglio è viva la sua essenza vitale che è la sua passione smodata per il cinema. Quella passione viscerale da giovane critico militante, difensore del realismo critico e d’ispirazione marxista, lo pervadeva fisicamente e successivamente confluiva nella scrittura - fin dagli inizi nella rubrica “Schermi e platee” per il quotidiano “Il progresso d’Italia”, poi sulle pagine di “Bianco & Nero”, “Cinema” e “Cinema Nuovo” - non è mai mancata. I suoi cortometraggi, da quelli girati durante il periodo del Cineguf, come La città nemica - un film sulla rivoluzione spagnola, e quelli diretti per la casa di produzione Columbus Film - fondata da Renzi insieme a Enzo Biagi, Luigi Pizzi e Renato Zambonelli- come Le fidanzate di carta e Quando il Po è dolce, ironici cortometraggi che esponevano spaccati della realtà italiana degli anni Cinquanta, sono sempre in attesa di essere visti e studiati.
I suoi libri, le collane che ha creato e curato, gli articoli che ha scritto per le riviste, che in alcuni casi ha contribuito a fondare o fondato, e il suo lavoro come direttore scientifico per l’immensa opera di reperimento e catalogazione della memoria visiva emiliano-romagnola, sono alla portata di tutti; chiunque può attingere da questo vasto patrimonio che ci ha lasciato. Così possiamo leggere, studiare e vedere l’essenza vitale di Renzi, che aveva il timore di: “perdere il cinema, che è stato la mia vita, che è diventato la mia vita, ha coinciso con essa, si è scambiato con essa. Il cinema come vita. Perciò, se temo di perdere la vita, temo di perdere il cinema. È là che si svolge la mia vita più intima, è là che provo i miei sensi di morte”.