Nel XVII Secolo le dinamiche storico-politiche che fecero uscire l’Europa dalle guerre di religione ruotarono attorno alla Ragion di Stato. In particolare fu determinante la corrente filosofica del contrattualismo razionalistico legato al giusnaturalismo moderno. I maggiori esponenti di tale corrente furono John Locke (liberalismo), Immanuel Kant (Stato costituzionale di diritto) e Jean-Jacques Rousseau (sovranità democratica). Vi è infine un quarto esponente, quello che ci interessa per analizzare la pellicola in questione. Il suo nome è Thomas Hobbes e nel 1651 propone la teoria assoluta dello Stato attraverso il suo libro Leviatano. Secondo Hobbes gli individui escono dallo stato di natura dove “l’uomo è lupo per l’altro uomo” con un patto attraverso il quale autorizzano un terzo ad agire per loro. Questi detiene il potere assoluto, esige obbedienza assoluta e non è vincolato dalle leggi che crea. Hobbes usa il termine “Leviatano” riferendosi al terribile mostro marino di cui parla la Bibbia nel Libro di Giobbe, il quale non ha rivali sulla Terra, è la più potente e grande delle creature, “il re su tutte le bestie più superbe”. Infatti nel 1851 Herman Melville metterà più volte in bocca al capitano Achab proprio la parola “Leviatano” nel riferirsi a Moby Dick nell’omonimo romanzo. Melville intende il capodoglio come l’animale che meglio rappresenta tale figura mitologica, per le enormi dimensioni e l’inenarrabile potenza. In ebraico moderno, “livyatan” significa infatti “balena”.

Nel film di Andrej Zvjagincev ci sono tutti e tre. Quello di Hobbes, quello di Giobbe e quello di Melville. È l’inesorabile caduta di un uomo nella sua tragedia personale. Kolya è Giobbe che affronta imperterrito le mille sciagure che la vita ha in serbo per lui. Perché Dio permette che accada il male alle persone buone e giuste? Questa la domanda cruciale. A differenza del personaggio biblico, il quale nonostante tutto non abbandona la fede, Kolya chiede seccamente a chi gli parla del Signore dove Egli sia, perché se c’è esige una spiegazione. Il responsabile delle sue miserie è Vadim, il sindaco corrotto della cittadina russa dove egli abita, il quale desidera il terreno sul quale è stata costruita la sua casa. Vadim è lo Stato, il suo eccesso e la mancanza in esso di giustizia sociale. Come il Leviatano di Hobbes, è intoccabile, la sua parola è legge, non esiste modo per ostacolarlo o impedirgli di perseguire i suoi loschi fini. Nel metterlo sempre a braccetto con preti e vescovi, Zvjagincev evidenzia come l’alleanza tra Stato e Chiesa sia il suggello che permette al potere di essere assoluto. Di comportarsi come vuole, di mettere a tacere chi vuole, di fare in modo che ogni tua lamentela finisca con tre guardie che ti tengono fermo e una quarta che ti ammazza di botte. Nello scenario desolante del mare che bagna le rive del villaggio di Teriberka avvertiamo la presenza del Leviatano melvilliano (dunque biblico) nelle inquietanti carcasse spiaggiate di cetacei e nel manifestarsi di essi attraverso le pinne caudali scorte fra le onde. Quando è un membro della famiglia di Kolya a vederle l’atmosfera è terrificante. Sembra che da un momento all’altro il mostro fuoriesca dagli abissi per irriderlo. Per ricordargli che nulla può contro il volere del Leviatano.

Ci fa male il film di Zvjagincev. Molto. Dipinge uno scenario amarissimo in cui la democrazia è morta in quanto trasformatasi in tirannide senza che ce ne accorgessimo, elevando la triste vicenda di un uomo come tanti a sineddoche di un mondo che non si riconosce più. Quando la casa di Kolya viene distrutta la scena è di un tale impatto che pare d’essere lì con lui a provare lo stesso devastante dolore. Finché non vedrete Leviathan non saprete mai quanto può essere spaventosa una ruspa.