Distribuito nel settembre del 1934, Caravan è la messa in scena di uno sfarzo fiabesco realizzato da una Fox ormai sull’orlo della bancarotta e che oggi è possibile rivedere grazie a un restauro messo a punto da MoMa a partire dall’unica copia al nitrato conosciuta. Praticamente impossibile da vedere per quasi ottant’anni, parafrasando le dichiarazioni del MoMa stesso, Caravan è un musical decisamente atipico per la sua epoca, motivo per cui probabilmente alla sua uscita fu un clamoroso fiasco per il mercato americano.
Distante da qualsiasi tipologia di musical in voga in quegli anni – basti pensare alle fantasiose ambientazioni dei film “boy meets girl” di Fred Astaire e Ginger Rogers, ma anche alla lunga saga di Gold Diggers, Caravan non rappresenta un’America reale o immaginata, ma la vecchia Europa del regista Erik Charrell le cui dinamiche erano troppo distanti per il pubblico statunitense del ’34. Per certi versi anche Carovane racconta una fiaba, ma si tratta di una storia in cui morale e distinzioni sociali restano comunque in primo piano; qualcosa che ben si discosta dall’American dream di cui la gente necessitava di nutrirsi, specie negli anni della Grande Depressione.
In uno stile che a tratti ricorda il primo Lubitsch, non a caso la sceneggiatura fu messa a punto da suoi collaboratori Samson Raphelson e Hans Kraly, Caravan narra la storia di una viziata contessina (Loretta Young) che, per ereditare i suoi possedimenti, è disposta a sposare un giovane musicista gipsy (Charles Boyer). Rifiutando un happy ending tradizionale, il film appare costruito costruito come una vera e propria operetta, non a caso Erik Charell diresse anche Der Kongress tantz, in cui spiccano proprio l’atipicità dell’ambientazione e della musica.
Composta da Werner Richard Heymann, la musica di Carovane (una colonna sonora priva di pezzi indimenticabili, ma costruita dando vita a interessanti momenti corali) è riflesso di echi e tradizioni della cultura europea: una vitalità appannaggio del popolo – o della gente gipsy, ma da cui il nobile è irresistibilmente attratto. L’arrivo della musica in città coincide infatti con il tempo della vendemmia e con l’arrivo dei gitani in città, chiamati proprio per allietare con canti e balli la tradizionale ricorrenza.
Dinamiche da cui la giovane protagonista resta affascinata, ma che non comprende: pur subendo il fascino della musica ne resta lontana, tornando infine nel suo mondo, lasciando così canzoni e danze alla povera gente. Riguardo ciò è molto interessante quello che dice il gitano Latzi, “posso tradire una donna e lei può tradire me, ma la musica non mi tradirà mai”.
Eterna via di salvezza contro le amarezze della vita, ma anche un modo per far divenire i sogni realtà: dopotutto anche nei musical americani degli anni ’30 la musica parlava di questo. L’unica differenza era che i protagonisti brillavano in tuxedo e lunghi abiti luccicanti, mentre nel film di Charrell ballano vestiti da popolani.