“La chiamavano Anne la Sorridente, ma era facile scambiare la risata per il suo sorriso”. Così ci viene presentata Anne, la protagonista controversa, dalla risata di pancia, allegra e a tratti disturbante (interpretata dalla conturbante e camaleontica Margaret Lockwood) del film in Technicolor, diretto nel 1953 da Herbert Wilcox e adattamento cinematografico dell’opera teatrale di Joseph Conrad, Laughing Anne (1920).

Il film si apre su una sfilata carnevalesca a Giava, nell’Indonesia colonizzata dall’Impero Britannico. I colori sgargianti e le danze sono accompagnati da un crescendo musicale che diviene progressivamente una marcia funebre, presagio di eventi funesti celati dietro un’apparente festosità. Incontriamo John Davidson, capitano di una goletta commerciale, uomo retto, timorato di Dio e fedele che attende, con serena gioia (Wendell Corey, che lo interpreta, è magistrale nel suo essere così “pulito”, nella sua espressione angelica e “superiore” persino nei momenti più difficili), l’arrivo di Susan (Daphne Anderson) la donna che ama e che vorrebbe portare con sé in viaggio. Lei è rigida e anaffettiva, lui è un marinaio che persegue la libertà e non vuole stare, come dice a Susan, dietro a una scrivania. La separazione che ne consegue, porta John all’incontro di Anne, cantante da locali dei bassifondi e dal trucco troppo marcato. Anne è una creola, nata su una nave in Martinica e, come John, ama il mare: è esuberante, è rumorosa, carnevalesca, sembra aderire al paese che la ospita. La donna vuole fuggire dal suo amante Jen Farrel, (un brutale e disperato Forrest Tucker) ex lottatore conosciuto a Parigi, rovinato dalla sfrenata bramosìa di denaro che lo ha portato a una menomazione fisica e a un profondo rancore.

John, uomo dal cuore tenero, la porta con sé, rotta verso Singapore. È l’inizio di un viaggio in mare aperto e nelle trame emotive dei personaggi: un racconto epico sulla decostruzione della figura eroica di John e dello svelamento progressivo della natura di Anne, un diamante grezzo che mostra, inaspettatamente, un naturale spirito di adattamento che la spoglia di ogni artificio sino a far innamorare perdutamente il capitano. Anne è un’eroina moderna, sfrontata, androgina nel suo voler agire contro le etichette: ama sedurre e stare al timone più di cantare! Ma, come molte eroine di quegli anni, sarà punita per tanta sfrontatezza.

Il monito di Davidson, in risposta alla fallita seduzione tentata dalla donna, è esplicativo: “La fedeltà è importante, specialmente per una donna. Difficile da trovare”. Ed è per il doppio tradimento a danni sia dell’ex lottatore che del capitano, che Anne verrà punita, uccisa all’urlo di “traditrice!” sotto il colpo finale del morente Farrel, antieroe senza riscatto, ferito a sua volta dal capitano.

La sequenza che chiude il film vede la donna consumata, senza più orpelli, i capelli ossigenati che sembrano bianchi, quasi una vecchiaia precoce: è il culmine dello svelamento. Non più costretta a ridere, può mostrarsi in tutto il suo dramma. Il climax vibra attraverso la confessione di Anne che, in fin di vita, ammette di aver mentito a John. La risata esasperata lascia il posto alle lacrime della donna, morente e consunta, ma redenta. John ormai ha le mani sporche di sangue, non più eroe, ma è l’unico, nonostante tutto, a rappresentare la speranza di un mondo retto, grazie al potere del perdono e della redenzione.

Il motivo musicale, cantato da Anne, che si ripete tre volte nel film e marca le svolte di non ritorno per i personaggi, è il canto premonitore e ammonitore della rovina dell’amore e del tradimento. “Caddi in mare aperto prima di imparare a nuotare, sarò uccisa d’altronde se continuerò ad amarlo così follemente. Se trovassi un appiglio non mi aggrapperei, non salvatemi, mi piace essere così. Caddi in mare perché da lui volevo arrivare”