Pochi giri di parole: Le livre d'image è la bibbia del montaggio inorganico. Tutto è materiale pulsante, il contenuto è inseparabile dalla forma. Archeologia di frammenti tra passato e presente che interroga il mondo del possibile, Le livre d'image è un film che produce film e dunque attiva mente e corpo di spettatori-autori. Troppo accade durante i novanta minuti della proiezione perché il materiale possa essere interamente digerito: ogni taglio di montaggio spalanca un abisso tra le immagini quasi sempre manipolate, la traccia audio è spesso stereofonica con sovrapposizioni di frasi; abbondano, come di consueto, i cartelli, mentre i sottotitoli, volutamente lacunosi, tratteggiano tutt'al più una sorta di sintesi di quanto accade, non certo una sua traduzione fedele. Lo shock che ne deriva è folgorante come un ordigno.

Rispetto a Film Socialisme e Adieu Au Langage, pur strettamente connessi al film, Godard ha intrapreso una via più radicale, scegliendo di liberarsi completamente dalla coazione a narrare e a creare personaggi. Perciò, oltre ad essere intraducibile, Le livre d'image è irraccontabile in senso stretto, a meno che non si voglia a tutti i costi imporre l'unità ad un film palesemente molteplice, finendo per tradirne i presupposti. Certo, c'è il racconto del mitico emirato di Dofa, ma è affidato alla parola recitata, non alle immagini.

Si può individuare una parentela con Histoire(s) du cinéma, non soltanto per il ricorso a materiale preesistente, ma anche per il riferimento a Denis de Rougemont con il suo Pensare con le mani (1936), già presente nel capitolo IV delle Histoires. La mano, dunque, è una categoria trasversale che oltre ad alludere alla manipolazione del materiale in fase di montaggio (che in Godard è la fase della creazione) e a richiamare, con le sue cinque dita, la suddivisione del film in cinque capitoli, la simbologia dei cinque sensi, dei cinque continenti o, perché no, della mano di Fatima/Miriam con tutti i riferimenti che implica, problematizza il ruolo dell'intellettuale nell'Europa di oggi così come in quella di ieri. Tuttavia, con il solito gusto per imbrogliare le carte, Godard assicura che Le livre d'image non è un film politico.

Di sicuro è un film da sviscerare sia in orizzontale che in verticale, come se fosse una partitura contrappuntistica. “Il contrappunto è una disciplina della sovrapposizione di linee melodiche. Le melodie non hanno bisogno di essere identiche e nemmeno affini” e ancora, “Nell'armonia gli accordi producono le melodie; nel contrappunto, al contrario, è dalle melodie che derivano gli accordi”: ascoltando, nel film, la voce di Godard pronunciare queste frasi, viene spontaneo considerarle una vera e propria dichiarazione d'intenti. In primo luogo perché, rispolverando il concetto di contrappunto, Le livre d'image si compiace di far avverare il sogno dell'asincronismo, lo stesso della dichiarazione del 1928 firmata Ejzenštejn-Pudovkin-Aleksandrov nella quale si legge che “soltanto l'impiego contrappuntistico del suono rispetto all'immagine offre possibilità di nuove e più perfette forme di montaggio”. In secondo luogo perché le melodie altro non sono che le 'serie' secondo Deleuze, il quale per descrivere il modo di procedere di Godard prende a prestito la terminologia dodecafonica. Le immagini sono associate non con il metodo dell''e', ma del 'tra', per creare intervalli polisemici e dissonanti.

Come le melodie, anche le serie non hanno bisogno di essere identiche o affini, anzi. Le livre d'image porta la pratica seriale all'estremo: se per comporre una serie in musica si tende ad evitare, per renderla più efficace (e dissonante), qualsiasi riferimento tonale, escludendo cioè gli intervalli che possono suggerire cadenze, così Godard inanella le sue serie tradendo qualunque aspettativa organica, arrivando, tanto per fare un esempio, a stroncare una scena di Johnny Guitar con uno schermo nero, con fare da terrorista. C'è quindi da aggiungere che considerare il terrorismo come arte non è solo un modo alternativo di formulare il contrasto tra la violenza del rappresentato e la calma della rappresentazione (una polemica che ha origine almeno dal sessantesco carrello come questione morale, indubbiamente ri-attualizzata dai filmati dell'ISIS): è lo slogan di un cinema che tiene lo spettatore in un costante stato di allerta e frustra programmaticamente le sue aspettative contenutistiche e formali, colpendolo prepotentemente con intervalli dissonanti. In questo senso, Godard è davvero dalla parte delle bombe.