Tutti conosciamo la storia di Charles Manson e delle sue vittime, di una in particolare ricordiamo il volto e il nome: Sharon Tate. C’era una volta a… Hollywood è una fiaba narrata dall’animatore Quentin Tarantino che mette in scena, come in un teatro d’ombre, personaggi reali e personaggi realistici e insieme li fa vagare per quel mondo in 35 mm, all’interno di panorami immensamente desertici, come se fossero costantemente sotto gli effetti di acidi e alcool alla maniera di Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam. Tarantino però lo fa senza che la macchina da presa si intrometta di continuo oscurando l’azione dei personaggi. Infatti il regista solo inizialmente ricorre a frequenti flashback fulminei, quanto lo è la guida spericolata di Cliff Booth (Brad Pitt) che lontanamente ricorda quella di Grace Kelly in Caccia al ladro di Alfred Hitchcock, e frammentati quanto lo è la follia di Manson che si espande e via via ramifica nel sottotesto. Il protagonista del film è l’attore Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) che non è mai stato veramente sulla cresta dell’onda, ma continua a sognarla e insieme a Cliff Booth, la sua controfigura, è costantemente in movimento mostrando così, allo spettatore, quanto sia bello il sogno hollywoodiano e la meraviglia del 1969.
Tarantino usa il meccanismo di Sliding Doors e fa prendere un’altra direzione a quella che è stata la Storia, velandola di malinconia e costellandola di continue citazioni e rimandi alla storia del cinema e a i suoi protagonisti. Ecco così che C’era una volta a… Hollywood diventa il ritratto ingiallito di un’epoca finita, un sogno utopistico che si è poi trasformato in un incubo e che nel film finisce in gloria: il lanciafiamme da oggetto di scena usato da Rick per uccidere in massa i nazisti trasforma il suo ruolo e in quella realtà viene usato per uccidere le bestie di quel diavolo che si dipingeva come il Redentore.
Come ha osato Manson interrompere l’equilibrio hollywoodiano? Tarantino si vendica e lo fa lasciando Manson e la Famiglia ai margini del suo schermo ma, come una zanzara che fastidiosamente ronza vicino all’orecchio mentre dormi, questi vogliono comunque intromettersi nella sua storia. Così Tarantino li punisce e li rimette al loro posto trattandoli come cibo per cani: tre scatolette di carne che si svuotano non appena le ribalti e che si spappolano a contatto con la ciotola.
“Casa a Hollywood vuol dire che vivi qui, non sei solo in visita, non sei di passaggio, qui, cazzo, ci vivi” così grida l’ entusiasta Rick Dalton dopo aver visto i suoi nuovi vicini di casa a Cielo Drive, Roman Polanski e la giovane promessa del cinema Sharon Tate (Margot Robbie). Quella casa, quella via e i tre protagonisti ricordano a tratti la triste vicenda di Viale del Tramonto di Billy Wilder, ma in C’era una volta a… Hollywood siamo appunto a Cielo Drive, un posto dove è ancora possibile sentirsi giovani e speranzosi. Infatti per il momento non è tramontato niente e Tarantino cambia il finale, facendo così rivivere ai suoi spettatori la malinconia per il 1969, nonostante tutte le problematiche e i difetti culturali di quell’epoca siano tematizzati.
Tarantino nel suo nono film non cela la sua conclamata cinefilia bensì la mostra più sfacciatamente che mai arricchendola di tutta la sua nostalgia per il cinema del passato e trasmettendola ai suoi spettatori. Così viviamo il tempo del film credendo, nonostante tutte le nostre conoscenze, di poterci immergere - come fa Tate/Robbie che al cinema osserva Sharon Tate nel suo reale ruolo all’interno del film Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm di Phil Karlson - in quella realtà così affascinante e ammaliante da sembrare reale, ma che è perlopiù un’evocativa, toccante e bellissima fiaba.